All'ombra di Sakineh, in Iran un'esecuzione ogni otto ore - Diritto di critica

Un’esecuzione ogni otto ore. All’ombra di Sakineh, in Iran si continua a morire. Impiccati, appesi alle gru, si viene messi a morte per reati comuni come il traffico di droga. La stessa Zahara Bahrami, cittadina iranolandese, ufficialmente è stata impiccata in quanto trafficante internazionale di stupefacenti. Arrestata nel dicembre 2009, poco dopo le grandi proteste dell’Ashura, aveva “confessato” di far parte di un’organizzazione di narcotrafficanti olandese. La sua confessione era finita anche sulla tv di Stato, un modo spesso utilizzato dal regime per convincere l’opinione pubblica della colpevolezza di un imputato. Per le accuse relative al suo arresto durante l’Ashura, invece, Zahara doveva ancora essere processata ma è stata messa a morte senza alcun preavviso: prelevata dal carcere è stata impiccata. Aveva 45 anni.
L’avvocato per i diritti umani, Nasrin Sotoudeh, legale di Zahara è stata condannata a undici anni di carcere per attentato alla sicurezza nazionale e violazione del codice nell’abbigliamento islamico: in un video inviato a un’associazione di Bolzano che voleva premiarla, si era fatta ritrarre senza l’hjiab, il caratteristico velo raccomandato alle donne.
Secondo quanto risulta ad Amnesty International, il regime starebbe prendendo di mira tutti i clienti di Sotoudeh, mettendoli a morte uno dopo l’altro: «In parallelo all’intensificarsi della campagna per la liberazione di Nasrin Sotoudeh – spiega a Diritto di Critica Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – l’Iran ha reagito mettendo a morte tutte le persone che lei assistiva. A distanza di 48 ore l’uno dall’altra, infatti, sono stati uccisi Zahara Bahrami e Arash Rahmanipur». Mentre Marco Curatolo, giornalista e collaboratore di Amnesty, spiega come «tra i prigionieri politici che rischiano la condanna a morte temiamo possano esserci Abdolreza Ghanbari, un insegnante 42enne, e Ahmad e Mohsen Daneshpour Moghaddam, padre e figlio, tutti e tre arrestati nei giorni dell’Ashura 2009 e condannati come “mohareb”, nemici di Dio, a causa dei loro presunti legami con i Mojaheddin del Popolo (PMOI)». Un’altra grande categoria di prigionieri politici condannati a morte, spiegano da Amnesty, è quella degli attivisti curdi. «Ne avevamo in lista una ventina a rischio – prosegue Curatolo – un po’ per volta li stanno impiccando tutti. L’ultimo è stato Hossein Khezri, ucciso il 15 gennaio scorso, condannato anche lui per l’accusa di “moharebeh”. I prossimi nella lista potrebbero essere Zeinab Jalilian (una donna) e Shirko Moarefi».
Su tutto pesa l’ombra del caso Sakineh, utilizzato ipocritamente dall’Occidente per “dimenticare” e disimpegnarsi dalle tante impiccagioni quasi quotidiane. «Quello di Sakineh – spiega Noury – è stato un caso che ha avuto uno sviluppo strano e spiacevole. Di solito, quando si porta all’attenzione internazionale una vicenda simbolo di una realtà più complessa, l’interesse dell’opinione pubblica cerca di capire l’intero fenomeno portato alla luce. Il caso di Sakineh, invece, sembra del tutto svincolato dal contesto, come se stesse avvenendo in un altro luogo e perfino in un altro Paese. Questa vicenda – prosegue il portavoce di Amnesty – soddisfa però lo stereotipo che si vuole avere dell’Iran: una donna con il velo condannata per un fatto privato. La realtà è ben diversa e vede in carcere e condannate anche donne che sono scese in piazza contro il regime, spesso attiviste per i diritti umani».
C’è poi la questione dei minori. L’Iran, infatti, è uno dei pochi Paesi che mette a morte rei minorenni, una prassi che condivide solo con Yemen, Arabia Saudita e Sudan. I numeri dell’Iran rispetto agli altri tre paesi sono spaventosi: un rapporto di 100 a 3. Li si impicca quando diventano maggiorenni, per reati commessi anche diversi anni prima.
Sulla possibilità che in Iran accada quanto visto per Algeria, Tunisia ed Egitto, Curatolo è scettico. «Nel Paese di Mubarak – spiega – si è creata una crepa tra i militari e il governo. In Iran questo difficilmente potrà accadere poiché il clero shiita e le guardie della Rivoluzione – i Pasdaran – sono molto legati al regime di Ahmadinejad e gestiscono i gangli dell’economia del Paese. L’unica via per mettere alla prova il sistema di potere iraniano – conclude Curatolo – sono le sanzioni economiche che andrebbero a colpire le aziende e purtroppo anche le classi più deboli delle periferie e della campagne, imbonite dalla propaganda di Ahmadinejad».
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Febbraio 2, 2011
RossellaChe cattivi!!! Quante povere persone sono state uccise per volere di Allah! Oppure, se non è per il dio, è per gli uomini che migliaia di persone vengono messe a morte. VERGOGNA!!!!!!!!!!!! VERGOGNATEVI!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Febbraio 4, 2011
BainzuI venditori di droga ovvero venditori di morte devono essere impiccati subito.
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Febbraio 4, 2011
quando sono davvero colpevoli vanno condannati (ma non a morte). Quando sono colpevoli…
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