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Diritto di critica | March 28, 2024

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L'analisi - L'Italia, tra l'incudine e il martello - Diritto di critica

L’analisi – L’Italia, tra l’incudine e il martello

La Libia fa tremare l’Italia. La nostra scarsa credibilità internazionale, già minata dal Bunga Bunga, ha indebolito ulteriormente la nostra diplomazia. Il governo Berlusconi si è chiuso in un profondo silenzio. Fino a ieri, l’unico commento, piuttosto fuori luogo, è stato quello del premier: “Non ho sentito Gheddafi. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno”. Di fronte ad un vero e proprio genocidio è meglio non disturbare. Una frase che in Europa ha creato non pochi mal di pancia nei confronti del nostro Paese, unico ieri a chiedere a Bruxelles di non condannare le violenze libiche. Perché? Il problema principale riguarda gli interessi economici che l’Italia ha in Libia. E di fronte al sangue, per il denaro e per gli interessi nazionali si può chiudere un occhio, o forse tutti e due.

L’Italia in Libia e la Libia in Italia. L’anno scorso la Libia è stato per l’Italia il primo fornitore di petrolio, il quarto di gas. La dipendenza energetica italiana dal paese nordafricano è destinata a crescere, di fronte alla necessità di diversificare gli approvvigionamenti energetici e divenire meno dipendenti dalla Russia. Tuttavia non c’è solo un fattore energetico a legare in maniera così netta l’Italia alla Libia. Investitori libici sono attivi in diversi settori strategici della nostra economia, soprattutto nel settore bancario, essendo i primi azionisti di Unicredit. Inoltre, il nostro Paese è formalmente impegnato a versare alla Libia 5 miliardi di dollari in 20 anni a titolo di risarcimento. In realtà, quei soldi serviranno a finanziare strade e ponti che saranno realizzate proprio da imprese italiane.

L’Italia isolata. Le profonde crepe che stanno interessando il regime di Gheddafi rappresentano enormi punti interrogativi per il governo italiano. E diciamolo chiaramente: l’Italia ha veramente bisogno di Gheddafi. Ma Berlusconi, abbandonato dall’Europa e dagli Stati Uniti, ieri sera è stato costretto a scaricare il Colonnello. Ma subito è arrivata la silenziosa risposta libica con una drastica riduzione del flusso di gas verso l’Italia. Un segnale chiaro: “O mi sostenete, o rischiate di non avere più il mio gas e il mio petrolio”.

I nostri interessi a rischio. Le crisi nord-africane, al di là della questione libica, hanno già messo a repentaglio gli interessi italiani in quei paesi. Interessi enormi che riguardano principalmente questioni energetiche. Il nostro Paese, in quell’area, ha giocato fino ad ora una leadership fondamentale, attraverso l’Eni. La società italiana è il principale operatore petrolifero straniero in Egitto. La produzione di petrolio e di gas naturale in quota Eni nel paese delle piramidi ha raggiunto, nel 2009, circa 230mila barili al giorno. Anche la Tunisia rappresenta un tassello strategicamente fondamentale per l’Italia. Attraverso il piccolo paese nord-africano passa un gasdotto realizzato da Eni e che consente lo spostamento di gas naturale proveniente dal deserto algerino fino alla Val Padana. E per realizzare tutto questo l’Italia, negli anni ottanta, ha organizzato, attraverso i servizi segreti militari (l’allora Sismi), un golpe per evitare che la Tunisia potesse finire in mano a regimi islamici anti-occidentali.

E se dietro ci fossero gli americani? Per l’Italia, debole sul piano internazionale e piuttosto isolata in Europa, non resta che sperare. Ma francamente appare difficile che riuscirà a mantenere le posizioni di privilegio conquistate in decenni di accorte politiche energetiche. Il governo italiano ha cercato strade alternative a quella europea e ora, di fronte ad una debolezza strutturale sotto il profilo militare e recentemente anche sotto il profilo politico-diplomatico, rischia di rimanere schiacciato. Gli americani non hanno mai visto di buon occhio le intese tra Eni e Gazprom, e considerano “ostile” la società fondata da Enrico Mattei (la storia si ripete?). Infatti, sospetto è l’appoggio di Obama alla rivolta egiziana, in un’area dove cambiare gli equilibri può mettere a repentaglio la sicurezza di uno dei suoi principali alleati: Israele. E sempre sospetto è l’atteggiamento dell’amministrazione americana in Libia, dove, guarda caso, Eni ha concesso a Gazprom in questi giorni di operare nel settore energetico, attraverso una partnership con l’algerina Sonatrach. È difficile poter dire se dietro a queste rivolte ci sia la mano americana, però gli Usa non hanno esitato e defenestrare l’alleato di sempre (Mubarak) e a condannare il nuovo alleato nella lotta al terrorismo (Gheddafi) a costo di generare grande instabilità regionale. E da questa, alla lunga, potranno guadagnarci tutti, tranne l’Italia.

Comments

  1. Vittorio b.

    Ma tutte quelle medaglie di Gheddafi,chi gliele ha date.
    Di tutto il petrolio che ha la Libia,nemmeno una goccia è andata ai cittadini
    Ma l’Europa cosa fà,fa massacrare tutti in nome della non ingerenza?
    Mi domando se al giorno d’oggi possano esistere ancora personaggi simili
    sullo stesso piano di Itler e Stalin.Però non dimentichiamo anche lo sterminio in Darfur.è vergognoso e il mondo sta a guardare

  2. Pialbo

    se avessimo un governo decente, quello che dovrebbero star facendo diplomaticamente in nostri “rappresentanti” (del piffero), dal momento che dipendiamo enormemente dalla libia per l’energia è:
    – assicurarci che il governo libico non porti il paese alla guerra civile, mettendo a rischio i nostri interessi
    – cercare di recuperare la nostra credibilità internazionale, mostrando all’europa che riusciamo ad avere influenza in un paese strategicamente importante non solo per noi ma per tutti quanti, tanto per l’energia tanto per il tema immigrazione, e all’america facendo vedere che l’alleanza con l’Italia è strategicamente importante anche per il tema terrorismo
    – promuovere noi stessi come una nazione amica del loro popolo, non solo amica del loro petrolio e gas, e promettere di seguire il processo di democratizzazione

    Queste cose le potremmo fare se avessimo un governo vero, che avesse lavorato negli anni scorsi e che magari avesse già pronta una strategia da seguire in questa eventualità.
    Nessuno l’aveva previsto? non abbiamo nemmeno un esperto che si dedica a fare analisi della politica dei paesi che sono fondamentali per noi per l’energia? avranno fatto dei piani su che cosa fare nel caso che il gas e il petrolio smettano di arrivare per un po’ di tempo a causa delle rivolte? e nel caso di una guerra che coinvolga direttamente i nostri interessi energetici, ce l’abbiamo un piano B? sono convinto che se il gas e il petrolio smettessero di mandarcelo, rimarremmo senza corrente.

    Se l’interesse nazionale fosse l’obiettivo di stare al governo/parlamento Italiano, magari qualcuna di queste cose l’avrebbero fatte o almeno pensate! E invece il presidente del consiglio e i nostri ministri a che cosa pensano? ti rendi conto? triste realtà quella in cui viviamo.

  3. s.m.

    B. come al solito fa ridere, anzi piangere. Ma anche quest’articolo non scherza. Secondo l’articolista, ci sarebbero dietr gli americani: per togliere all’ENI le attività in Egitto (miseri 230.000 barili) avrebbero rovesciato Mubarak, rischiando la caduta nel fondamentalismo e, peggio, un conflitto aperto con Israele. Per carità, ne ho sentite di ‘grosse’, ma questa le batte tutte!

    • Non ho scritto questo. Ma è sotto gli occhi di tutti che, nonostante il rischio del fondamentalismo e di una destabilizzazione in Palestina, Obama ha defenestrato Mubarak appoggiando, almeno sul piano morale, la rivolta. E lo stesso, con sfumature un po’ diverse ha fatto con Gheddafi. Ribadisco: non ho scritto che dietro le rivolte ci sono gli Usa. Ho scritto che ci sono strane coincidenze. Ad ognuno, poi, la possibilità di farsi le proprie idee