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Diritto di critica | April 24, 2024

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Germania, l'atomo affonda il governo Merkel - Diritto di critica

Germania, l’atomo affonda il governo Merkel

I conservatori della Merkel affondano alle elezioni del Baden-Wuerttemberg e della Renania, travolti dall’ascesa dei Verdi anti-nucleare. Si profila l’inizio della fine: un rimpasto di governo significherebbe la destituzione del ministro degli Esteri Westerwelle e la fine dell’alleanza con i liberaldemocratici. La Germania si prepara a cambiare pelle in piena crisi dell’Europa Unita.

La signora Merkel sta contando le probabilità del suo governo, e non ne trova molte. La sua coalizione ha perso le elezioni in due regioni importanti, il Baden-Wuerttemberg (Sud) e la Renania-Palatinato (Sud ovest): la Cdu-Fdp ha ottenuto il 43,7% dei voti (38,5% Cdu e 5,2% Fdp), mentre a un’eventuale alleanza tra socialdemocratici e Verdi va il 48% (rispettivamente al 23,5 e al 24,5). Se Spd e Verdi formassero un governo di coalizione, i conservatori perderebbero il Land dopo quasi 60 anni di reggenza.

Conservatori e liberaldemocratici pagano oggi la scelta del nucleare. Soltanto pochi mesi fa, Angela Merkel annunciò la decisione di prolungare la vita delle centrali atomiche sul suolo tedesco, giunte alla “fine-vita” tecnica: le proteste sono proseguite per mesi, finchè non è arrivato il disastro di Fukushima a smuovere gli indecisi, che si sono uniti al fronte No Nuke. A nulla è valsa la politica “accondiscendente” delle ultime settimane, cioè la moratoria di tre mesi sulle centrali (mai spente, peraltro), e l’astensione “pacifista” dalla guerra in Libia. La sconfitta è stata piena ed evidente, e soprattutto gravida di conseguenze. Il partito più colpito è stato l’Fdp, ovvero i liberal democratici, che proprio nel Baden Wueerttemberg hanno sostenuto una serie di iniziative “di sviluppo” ritenute dall’opposizione “antiecologiche”. Tra queste, la costruzione di una stazione ferroviaria nel cuore verde di Stoccarda, il Mittlerer Schlossgarten.

La testa più a rischio è quella del leader Fdp Guido Westerwelle, attualmente ministro degli Esteri tedesco. Quello, per intendersi, che ha votato “no” alla risoluzione Onu 1973 sull’intervento in Libia, e che avrebbe pianificato insieme al collega italiano Franco Frattini il progetto di “institution building” post-Gheddafi. Incoerenze magistrali, che riflettono un’incapacità palese nel progettare e tenere una linea politica definita. Westerwelle ha accumulato nel giro di un mese tre sconfitte pesantissime: l’uscita dal Parlamento della Renania-Palatinato, il crollo al 5,1% nel Baden-Wuerttemberg (era al 10,7% nel 2006) e l’uscita Parlamento della Sassonia-Anhalt di domenica scorsa. ”Questo significa un danno a livello nazionale” per la coalizione, osservano gli esperti.

Il leader liberaldemocratico non può restare dov’è, nè al ministero degli Esteri nè nel partito: e questo significa per Angela Merkel un rimpasto di governo, di difficilissima risoluzione –  molto più probabile un’implosione. Quand’anche la cancelliera riuscisse a tenere unita la zattera, dovrebbe continuare a governare con una Camera Alta dei rappresentanti regionali ostile per i 2/3. In seguito alla perdita della Renania-Palatinato, infatti, la Merkel può contare soltanto su 25 voti sicuri su 69 (la maggioranza assoluta l’aveva già perduta a maggio 2010 con le elezioni nel Nord Reno-Westfalia).

Per l’Italia cambia parecchio. Un governo verde ben difficilmente appoggerebbe un piano post-Gheddafi che conservi lo status-quo del dittatore. E i pro-nucleare perderebbero un argomento a favore, cioè l’esempio tedesco di “illuminata fiducia” nell’atomo. Il fronte conservatore italo-franco-tedesco si spezza. Son rovesci mica da ridere, nel momento in cui l’Europa Unita, la Nato e l’Onu mostrano la propria debolezza di fronte alle crisi regionali.