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Diritto di critica | April 18, 2024

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Vite migranti - «Litighiamo in lingue diverse e facciamo pace in italiano» - Diritto di critica

Vite migranti – «Litighiamo in lingue diverse e facciamo pace in italiano»

Melissa sta facendo i compiti di matematica e conta sulle dita, concentrata: «një, dy, tre, katër…». Inas le si avvicina: «nella mia lingua si dice in modo diverso», contando a sua volta sulle dita, ma in arabo. Melissa ed Inas, entrambe sette anni, sono compagne di classe ed amiche per la pelle: Melissa è kosovara, Inas marocchina. Si sono conosciute in prima elementare e da allora sono inseparabili: trascorrono insieme il tempo libero e a scuola si scambiano le figurine e gli adesivi. Quando litigano, bisticciano ognuna nella propria lingua: «ma poi facciamo pace in italiano – spiega Inas – così capiamo tutte e due quello che diciamo». «Anche le nostre mamme sono diventate amiche – aggiunge Melissa in un italiano sicuro – però fanno un po’ fatica a chiacchierare, perché mia madre non conosce l’arabo e quella di Inas non comprende la lingua albanese. E nessuna delle due parla correttamente l’italiano». Le due bambine abitano a Clusone, una cittadina nella provincia di Bergamo: il papà di Inas è arrivato in Italia per primo, ha trovato lavoro come operaio in una fabbrica e poi ha fatto arrivare anche la moglie ed i tre figli, mentre i genitori di Melissa sono arrivati insieme a causa della guerra in Kosovo: a Clusone avevano già alcuni conoscenti. «Melissa va bene a scuola e  ha imparato subito l’italiano, – racconta la mamma Alberta – infatti quando devo scriverle sul diario una comunicazione per le maestre mi faccio aiutare da lei ed io metto solo la firma. Così non facciamo errori e brutte figure con le insegnanti».

Melissa ed Inas sono compagne di classe ed insieme frequentano anche il doposcuola organizzato dalla Caritas locale, tre pomeriggi a settimana durante i quali alcuni volontari aiutano i bambini a svolgere i compiti. «Mi piace venire qui – racconta Inas – perché vedo tutti i miei amici. E poi a casa non riesco a fare i compiti da sola». Lo stesso problema ce l’ha anche Melissa: «la mia mamma e il mio papà non riescono ad aiutarmi – spiega – perché non conoscono bene tutte le regole dell’italiano, fanno tanti errori e non vogliono che anche io impari espressioni scorrette». La mamma di Inas, invece, nelle ore del doposcuola ha iniziato a frequentare un corso di alfabetizzazione per adulti messo in campo dalla Caritas: «Così – racconta la bambina – poi facciamo i compiti insieme, io i miei e la mamma i suoi».

Melissa ed Inas non sono le uniche: sono quasi quaranta i bambini seguiti nel paese dalla Caritas con attività di assistenza scolastica. Sebbene il progetto fosse inizialmente nato per affrontare le esigenze di tutti i bambini in difficoltà, sono soprattutto i piccoli stranieri ad usufruire del servizio:  provengono in particolar modo dal Marocco, dai paesi dell’ex Jugoslavia e dall’Africa Sub Sahariana. Tra i volontari, ci sono le maestre stesse dei bambini e alcuni insegnanti in pensione. «Il doposcuola – spiega Daniela Vincenzi, coordinatrice didattica del progetto – copre un’esigenza di cui dovrebbero occuparsi le istituzioni. Ma a causa dei tagli continui alla scuola, i primi progetti che vengono annullati sono quelli relativi all’integrazione». Ciò che preoccupa maggiormente le maestre è il rischio che un’iniziativa simile, se non adeguatamente supportata, cada nel vuoto: «Siamo riusciti ad organizzare il doposcuola solo per le classi delle elementari. – continua Vincenzi – Ma il periodo più fragile è quello delle medie e delle superiori. Molti dei bambini che seguiamo rischiano, una volta cresciuti, di compromettere il percorso fatto e di allontanarsi dalla scuola perché le famiglie non riescono a motivarli e perché non trovano nell’istituzione scolastica un interlocutore valido, capace di formarli».

Oggi nelle piccole realtà di provincia spesso l’unico ente in grado di fornire sostegno all’integrazione delle persone straniere è la Caritas. In particolare al Nord, dove la Lega detiene un potere forte e radicato. «Spesso troviamo un muro non solo nelle istituzioni, ma anche negli stessi abitanti del paese – spiega Vanna Trussardi, coordinatrice della Caritas di Clusone – che vedono nella Caritas un ente che aiuta soltanto “gli stranieri” a discapito della popolazione locale. Non è assolutamente così. Noi ci facciamo portavoce di un’esigenza diffusa, anche e soprattutto nella scuola: l’integrazione costruttiva, che gioverebbe a tutti. Anche agli italiani».

Comments

  1. Rovena

    Complimenti per l’articolo. Per dovere di corretezza vorrei chiarire che la lingua della ragazza del Kosovo è l’albanese. Il kosovaro non esiste, esistono solo le lingue dei popoli che vi abitano: l’albanese, il serbo (croato/bosniaco/montenegrino), il romanes, il turco. Grazie.

    • Grazie per la segnalazione, abbiamo provveduto a correggere l’imprecisione