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Diritto di critica | April 19, 2024

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Abbandonare il lavoro dei sogni perché pagata troppo poco - Diritto di critica

Abbandonare il lavoro dei sogni perché pagata troppo poco

“Volevo lavorare in una casa discografica, lo volevo più ogni altra cosa e quando passione e determinazione s’incontrano, si sa,non c’è muro che tenga. Un sogno di quelli che non ti fanno dormire la notte,che danno senso ad ogni tuo giorno e che anche solo a pensarci tolgono il fiato trasformandolo in lacrime d’emozione al solo pensiero di poterlo vedere realizzato. Non so quante persone abbiano avuto la possibilità di provare un’emozione così ma, per quanto mi riguarda,io mi ritengo fortunata già solo per questo.” Questa frase racchiude tutto l’entusiasmo di Arianna, una ragazza che, ad un passo dalla realizzazione del suo sogno, è stata costretta a tornare a casa da disoccupata perché sostituita da uno stagista che lavorasse gratuitamente. In molti posti questo ragionamento predomina ed è la causa della nascita di un esercito di disoccupati che dopo lunghi periodi di stage, contratti a progetto e duro lavoro si ritrovano a dover iniziare tutto da capo.

Realizzare un sogno. Durante gli anni del liceo e dell’università Arianna teneva appeso alla parete quel ritaglio di giornale che pubblicizzava il master in cui sperava di entrare. Lo guardava sognando ad occhi aperti come sarebbe stato essere tra quei pochi fortunati che venivano ammessi ogni anno. Finita l’università in tempi record, l’ha scoperto da sola, perché il suo nome era proprio tra quei candidati che ce l’avevano fatta. Il ritaglio di giornale poteva essere buttato e le valige preparate. Si partiva per la grande capitale della musica, Milano. Un anno di master e l’inizio di uno stage in una casa discografica.

L’odiatissimo Co.Co.Pro. “Ero nel limbo tra lo status di studentessa spensierata e neo-lavoratrice quando la voglia di lavorare è più forte di quella di guadagnare. Era la gavetta”. Dopo 9 mesi da stagista, con un totale di 1854 ore di lavoro e un guadagno di 1800 euro, arriva il premio: un bel contratto a progetto, quello più di moda in Italia, il simbolo della precarietà e negli ultimi anni la tappa obbligatoria per tutti i giovani che tentano di entrare nel mondo del lavoro. “Anche se la retribuzione non era aumentata di molto decisi di accettare perché all’inizio bisogna pur ingoiare qualche rospo. Guardando il contratto mi ero però resa conto che erano stati omessi alcuni essenziali dettagli a discapito, ovviamente, del contraente. Non ho tardato a puntualizzare queste mancanze rivendicando i princìpi su cui si fonda un contratto a progetto . Così mi hanno ridotto la durata del contratto da 6 a 4 mesi in modo che il contratto scadesse prima dell’inizio delle vacanze estive evitando la rogna di dovermi pagare anche le ferie.” Nonostante un pochino di delusione iniziale, Arianna era felice perché stava svolgendo il lavoro che desiderava. Il desiderio di farcela era troppo grande e la sua famiglia era pronta ad aiutarla a pagare l’affitto anche se questo poteva significare qualche sacrificio per tutti. Forse è stato proprio questo l’errore. Consapevoli dell’intervento dei genitori, i dirigenti di Arianna se ne erano approfittati. Evidentemente abituati a calcolare lo stipendio non in base alla qualità o alle ore di lavoro svolte ma secondo quello che ritenevano fosse il minimo indispensabile. A conferma di questo le frasi dei colleghi: “Non dire che ieri hai comprato dei pantaloni nuovi altrimenti non ti daranno alcun aumento”.

Lo stage invece che l’assunzione. L’aumento non è mai arrivato e rimanere a Milano stava diventando davvero difficile. Arianna lavorava troppe ore al giorno per riuscire a trovarsi anche un’ altra occupazione e non voleva più chiedere soldi ai suoi genitori. Le sue richieste al datore di lavoro affinché avesse uno stipendio sufficiente per vivere caddero nel vuoto. Da questa situazione difficile è stata “liberata” dai suoi capi che hanno scelto di sostituirla con una stagista disposta a lavorare gratuitamente. “Mi son sentita dire che il mio lavoro non aveva un valore economico concreto in grado di far entrare guadagni pari al mio stipendio e che, a questo punto, gli sarebbe convenuto di più sostituirmi con una stagista a costo zero”, spiega Arianna. “La mia delusione è stata doppia nel vedere il mio lavoro svalutato in pochi minuti da quelle stesse persone che si erano complimentate con me perché i rendiconti erano nettamente raddoppiati dall’inizio del mio contratto. Non volevo abbandonare il mio sogno così presto, proprio quando ero riuscita a guadagnarmi un angolino nel mondo della musica ma, dall’altra parte, non avrei sopportato il senso di colpa per essere stata troppo egoista da non rendermi conto che il mio sogno non era certo più grande di quello di altri membri della mia famiglia che stavano facendo sacrifici per me”. Arianna era ad un bivio: accettare di rimanere e quindi acconsentire ad essere sottopagata rispetto ai suoi colleghi (“pur lavorando tanto quanto loro e ritrovandomi a chiedere ai miei genitori di pagarmi l’affitto per un altro anno come una bambina capricciosa”) oppure rifiutare, saltare nel vuoto e rischiare, tornare a casa da disoccupata “sperando che di non essere divorata dai rimorsi”. Arianna ha fatto le valige ed è tornata a casa. Da 3 mesi manda il suo CV ovunque alla ricerca di un’occupazione che non si allontani troppo da quello che ha sempre fatto e studiato. Questo suo non volersi accontentare spesso non viene capito e per questo criticato. Ma nonostante tutto lei crede ancora ai suoi sogni e vive tentando di realizzarli senza mollare mai.

Comments

  1. Ferdy

    Io direi semplicemente bambina capricciosa. Tutti hanno un sogno, solo che molti si fanno letteralmente il culo facendo lavori di merda pur di guadagnarsi da vivere e non dormendo la notte, senza esser pagati, per coltivare il proprio sogno. La sua storia non commuove nessuno, al massimo fa incazzare chi il culo se lo fa veramente.

    • Troiaincalore

      Capriccio? Realizzarsi nel lavoro un capriccio?

    • Erica Balduzzi

      quando portiamo storie di giovani precari, riscontriamo sempre più spesso una frattura: da un lato chi si ritrova nella testimonianza riportata perchè l’ha provata sulla sua pelle, dall’altro chi dice di “farsi il culo veramente” e in storie simili vede soltanto dei “capricci”.
      Ora, io mi chiedo: siamo macchine fatte per lavorare senza sogni e ambizioni? Avere delle ambizioni, dei progetti lavorativi (spesso difficili) per cui impegnarsi, verso cui tendere è forse un reato?
      Smettiamola di voler imporre agli altri la propria lista di priorità lavorative: i miei sogni possono essere diversi da quelli di Arianna come potranno essere diversi dai suoi, sig. Ferdy, ma ciò non li rende meno nobili o meno degni di essere seguiti.
      Invece che accanirci contro le aspirazioni – più o meno condivise – degli altri (di gente che nemmeno conosciamo e che ha semplicemente riportato la sua esperienza personale), forse sarebbe il caso di fare fronte comune per chiedere un mondo del lavoro più equo e rispettoso del lavoro, dei sogni e delle aspirazioni di tutti.

    • Giuseppe

      Ora ho un buon lavoro ma ho ingoiato rospi a manetta prima di un’offerta seria e concreta. Vaffanculo Ferdy, il capriccioso sei tu che non capisci che i veri nemici dei giovani sono quelli come te che dicono che il problema non si pone.

      Chi ha la pancia piena non ha fame.

  2. Pippo-paperino

    Sarò cinico ma è queste al momenyo sono le leggi del lavoro: frega a nessuno dei sogni di tizio o caio, conta fare profitto. Se un datore di lavoro, per legge può guadagnare di più licenziandoti/sostituendoti lo farà, statene certi. Punto.
    Per tale ragione l’Italia è una “democrazia” e non uno Stato social-democratico.
    Se sei sostituibile da qualcun altro a minori costi ti sostituiscono. Quindi ci si adegua. Cercare di avere sempre un piede in due staffe, guardarsi sempre intorno in cerca di nuove opportunità e non avere scrupoli di alcun genere.
    Evitate di essere dei tonni in un mare di squali.
    Saluti.