Bossi, la "mezza calzetta" e quelle inchieste sulla Regione Lombardia - Diritto di critica

L’ANALISI – Accanto alla compostezza e ai toni “alti” mantenuti dall’esecutivo guidato da Mario Monti, l’Italia continua a non farsi mancare l’altra politica, quella che con la sua retorica sguaiata e spaccona ha occupato programmi e prime pagine dei giornali nei mesi precedenti le dimissioni di Silvio Berlusconi. Era il politichese tutto italiano del dito medio, della pernacchia, dell’Italia peggiore, delle magliette leghiste contro Maometto e degli insulti da osteria ai politici avversari. Ieri – per un pomeriggio – tutto questo è tornato in auge, con Bossi che ha “educatamente” dato della “mezza calzetta” a Berlusconi, reo di non avere il coraggio di far cadere il governo Monti. A rispondere agli insulti del leader del Carroccio – quasi per contrappasso – proprio Roberto Formigoni, governatore lombardo che il Senatùr offre come merce di scambio per un ricatto impossibile. La vicinanza delle amministrative, infatti, spinge Bossi ad alzare la posta, a lanciare ultimatum che – pena la scomparsa politica – il Cavaliere non può accettare. Staccare la spina al governo, come chiede il Carroccio, porterebbe il partito di Alfano e Berlusconi in un baratro di gradimento e percentuali ancor più profondo di quello attuale, dove l’ultima carta da giocare è quella della credibilità e del sostegno all’unico esecutivo capace di varare leggi a un ritmo a cui il Paese non era più abituato da anni.
Su tutto, grava l’incognita della Regione Lombardia, con inchieste e arresti che stanno indebolendo la Giunta guidata da Roberto Formigoni. “Pochi giorni fa – scrive Paolo Biondani in un’inchiesta pubblicata su L’Espresso in edicola oggi – i giudici elvetici hanno trasmesso ai pm milanesi nuovi documenti bancari, che sembrano quasi la fotografia di un peccato originale. Un sistema di conti esteri che per almeno un decennio, quello dell’ascesa e consacrazione del governatore lombardo, ha nascosto e custodito un fiume sotterraneo di finanziamenti che irrorava una specie di cupola di Cl. Soldi versati segretamente da aziende del gruppo Finmeccanica, compresa l’ormai famosa Selex (già Alenia), e dai petrolieri italiani coinvolti nello scandalo Oil for food. Ora le carte documentano che il conto più importante era gestito da due tesorieri ciellini. Almeno uno di loro, negli stessi anni, viveva vicino a Formigoni. Molto vicino. Praticamente sotto lo stesso tetto”. E poi ci sarebbero anche carte comprovanti mazzette smistate – scrive ancora L’Espresso – “nel nome di Comunione e Liberazione”.
Bossi tutto questo lo sa bene – “ormai ne arrestano uno al giorno”, ebbe a dire tempo fa – e forse è a conoscenza anche di qualche informazione in più. Da qui la decisione che potrebbe smarcare il Carroccio da ulteriori scandali: togliere l’appoggio alla Giunta lombarda, ormai sotto scacco e abbandonare l’azzurro Formigoni al suo destino. E mentre il Governatore piddiellino fa sapere che “il riferimento è a Dio. Tutte le sere mi faccio l’esame di coscienza. Errori irreparabili non ne trovo. Poi, una volta al mese, o mese e mezzo, mi confesso. Esercizio utile anche per chi non ha fede, devi interrogarti su ciò che fai”, gli arresti tra personaggi di primo piano e “pesci piccoli” (ma non troppo) – sul punto Bossi ha ragione – sono ormai quasi quotidiani. Ad iniziare da Antonio Chiriaco, manager delle cliniche lombarde, promosso a capo della Asl più ricca della Regione – quella di Pavia – e finito in carcere perché ritenuto sodale con la Ndrangheta, per arrivare al vicedirettore dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente che sta raccontando di tangenti per l’amianto che sarebbero state versate a Nicoli Cristiani.
E mentre il governo Monti tenta di riportare un po’ d’ordine, santi, canottari e mezze calzette s’azzuffano.
Twitter@emilioftorsello
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