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Diritto di critica | March 19, 2024

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Stragi e petrolio all'ombra dei Sauditi - Diritto di critica

Stragi e petrolio all’ombra dei Sauditi

di Giovanni Giacalone

Il 14 febbraio 2011, sulla scia delle rivolte in Egitto e Tunisia, scoppiarono disordini anche in Bahrein. I manifestanti, in maggioranza sciiti, si riunirono presso il “pearl roundabout” (la rotonda delle perle), situata vicino il distretto finanziario della capitale, Manama, con l’obiettivo di chiedere ed ottenere maggiore libertà e parità di diritti civili e politici per la maggioranza sciita, soggetta a discriminazioni sistematiche da parte del regime sunnita.

La rivolta ebbe però risvolti drammatici. Il giorno stesso ci fu il primo morto ed oltre venti feriti negli scontri con la polizia. Nei giorni successivi la situazione degenerò e all’alba del 17 febbraio, noto anche come il “giovedi di sangue”, le forze di sicurezza assaltarono la piazza e ci furono 4 morti, più di 600 feriti e una settantina di persone scomparse. La polizia non risparmiò neanche i giornalisti stranieri e, in aggiunta, fu proibito alle ambulanze di prestare i necessari soccorsi.

Diversi paramedici che cercarono di raggiungere i feriti vennero picchiati e intimiditi dalle forze di sicurezza. Osama, un autista di ambulanza, raccontò di essere stato minacciato con la pistola da un ufficiale dell’esercito,  con accento saudita, che gli impedì di raggiungere i feriti. Altri paramedici che riuscirono a raggiungere i manifestanti e ad assisterli vennero successivamente processati con l’accusa di aver preso parte agli scontri.

Lo stato di emergenza durò per oltre tre mesi. Ma a questo punto sorge spontaneo porsi un quesito più che legittimo: per quale motivo un ufficiale dall’accento saudita si trovava alla Rotonda delle Perle a puntare la pistola contro i soccorsi?

Il Bahrein è un caso molto particolare, un paradosso simile a quello siriano ma in senso inverso, in quanto dal 1783 il potere è nelle mani degli al-Kahlifa, famiglia originaria del Kuwait e legata per discendenza alla tribù dei Banu Utub: dunque una minoranza sunnita che domina su una popolazione al 70% sciita.

I legami del regime con i sauditi non sono mai stati un segreto di stato in quanto in primis vi è un orientamento religioso improntato al tradizionalismo, teoricamente sunnita ma probabilmente anche molto vicino al wahhabismo. Ancor più importanti sono però i rapporti di tipo economico legati all’industria petrolifera e alla produzione di gas naturali.  Come ha affermato il ministro  per il petrolio e il gas Abdul-Hussain bin-Ali Mirza:”Il rapporto tra il Bahrein e l’Arabia Saudita in ambito petrolifero è molto forte ed è in vigore da sessanta o settant’anni, non c’è stato un giorno che il petrolio ha cessato di essere pompato dall’Arabia Saudita verso il Bahrein e ciò dimostra la solidità dei rapporti in ambito politico, economico e sociale”.

In ogni caso, giusto per togliere ogni dubbio, il 14 marzo un migliaio di truppe saudite (nella foto) e cinquecento poliziotti degli Emirati Arabi entrarono in Bahrein con l’obiettivo di fornire appoggio al regime.

Le truppe presero posizione in punti chiave dell’isola senza tecnicamente prendere mai direttamente parte agli scontri, minacciando però un potenziale intervento in caso di incertezza da parte delle forze di sicurezza del Bahrein. L’opposizione sciita accusò i sauditi di occupazione e seguirono giorni drammatici con arresti di numerosi manifestanti, giornalisti, attivisti peri diritti umani e leader dell’opposizione come Hassan Mushaima.

Non è dunque improbabile che già durante i primi giorni di protesta fossero già presenti membri delle forze di sicurezza saudite per monitorare la situazione e, in seguito all’aggravarsi degli eventi, il governo saudita abbia deciso di far intervenire le proprie truppe.

I sauditi, infatti, hanno tutto l’interesse a mantenere il controllo sul Bahrein in quanto un cambio di regime in un paese a maggioranza sciita, con l’Iran a poche miglia dalla costa, potrebbe avere conseguenze drammatiche per i rapporti economici tra Riyadh e Manama. L’Iran, baluardo sciita in Medio Oriente, ha sempre nutrito interesse per quell’isola che viene vista da Teheran come la quattordicesima provincia iraniana, oltre che come un ottimo trampolino di lancio verso la penisola araba. Non a caso il regime iraniano ha aspramente criticato la repressione dei manifestanti e l’intervento saudita[11].

Dunque oltre alla Siria, anche il Bahrein si trova a dover fare i conti con le contrapposizioni tra fazioni interne all’Islam che si scontrano per motivazioni che, al di là delle questioni religiose, hanno sempre più a che fare con interessi di tipo economico e geo-politico. Un mondo islamico che inizia a dover fare seriamente i conti con i propri paradossi e le proprie contraddizioni interne.

 

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