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Diritto di critica | April 18, 2024

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ET, trent'anni di un mito senza fine

ET, trent’anni di un mito senza fine

“E.T. phone home, E.T. telefono casa!”, alzi la mano chi, tra i bambini degli anni Ottanta, non abbia sentito una stretta al cuore ascoltando queste parole. La richiesta dolcissima veniva da un esserino buffo, basso e un po’ tozzo, protagonista di una storia che stava sbancando i botteghini di mezzo mondo. Trent’anni sono passati, era il 1982 quando Steven Spielberg portò sullo schermo, in una piccola sala di Houston, la favola di un’amicizia speciale tra un bambino e un alieno destinata a diventare un cult.

“E.T. – The Extraterrestrial” è un film di fantascienza tra i più amati e conosciuti della storia del cinema, entrato a far parte dell’immaginario collettivo per aver ribaltato uno stereotipo visivo fino ad allora condiviso: prima di allora, il grande schermo ci aveva abituato a marziani temibili e malvagi, da “l’Invasione degli ultracorpi” a “La cosa”. Con Spielberg, un giovane cineasta visionario che si era fatto notare già con “Duel”, già mago del box office con un blockbuster come “Lo Squalo”, il pubblico viene conquistato dalla tenerezza disarmante e irresistibile di un piccolo abitante dello Spazio. E in un attimo, gli alieni non fanno più paura. Non tutti almeno. Del resto, Spielberg non era nuovo a questo intento, quello di sovvertire l’assioma alieni – pericolo, lo aveva fatto ne “Gli Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo”: film durante il quale – come ha dichiarato lui stesso – cominciò a pensare a questa storia che avrebbe commosso il mondo e segnato un’epoca.

Fu proprio su questo set che Francois Truffaut, un grande autore capace di tratteggiare storie di bambini come pochi nella settima arte, disse al regista che lo dirigeva: “You have to do a film with kids!”. Aveva intuito l’enorme potenziale narrativo di Spielberg nel raccontare l’infanzia, il suoi mondi fantastici, le sue dimensioni ‘altre’ rispetto a quelle degli adulti.

E degli adulti infatti in E.T., nemmeno l’ombra: non compaiono in quasi tre quarti del film, fatta eccezione per la madre di Elliott. Spielberg li riprende come controvoglia, di spalle o sotto la cinta, non ne mostra mai il viso. Si direbbe che il punto di vista della macchina da presa coincida con quello dei bambini e di E.T., piccoli esseri di universi distanti, uguali nell’altezza, uguali nella comprensione. Gli adulti sono lontani e spesso minacciosi, come il padre di Elliott responsabile di aver abbandonato la famiglia, come quelli che danno la caccia al tenero alieno per portarlo via, annunciati sullo schermo solo con un rumore sinistro di chiavi, di cui mai vediamo la figura. Ne intuiamo solo la mancanza di vederee capire, mentre l’infanzia da’ lezione di tolleranza, rispetto, amicizia vera.

La favola di Spielberg fu il maggior incasso dell’anno quando uscì, nel 1982: vinse 4 Oscar e si aggiudicò anche 2 Golden Globe, oltre a far entrare il suo creatore nell’olimpo dei grandi, al suo sesto lungometraggio. “E.T. è il mio film più personale, quello che più mi ricorda di me e del mio rapporto con mio padre” , ha dichiarato Spielberg poco meno di un mese fa al quotidiano La Repubblica. Una figura a lungo pensata, accarezzata nelle idee prima che nella realizzazione.

“Ho sempre visto il piccolo alieno come una figura paterna, un saggio, un uomo-bambino, un vecchio-bambino. Ricordo quello che dissi al “burattinaio” Carlo Rambaldi: l’aspetto di E. T. deve essere infantile e vecchio allo stesso tempo! E lo ha fatto splendidamente con il suo pupazzo. Quella storia era il mio modo per ricordare a tutti quanto sia importante il legame tra padri e figli”. Risiede forse in questo la fortuna di una pellicola che non conosce tramonto, e che rivista oggi ha la stessa forza di allora: sebbene gli effetti speciali e le tecniche siano ampiamente superate, perché il cinema ha fatto passi da gigante. È la storia che non conosce tempo né superamento, così E.T. rimane una favola per grandi e piccini. In 30 anni la storia dell’alieno gentile trovato da un bambino, che con lui sviluppa un rapporto simbiotico e dalla cui separazione il piccolo trova la forza di risolvere il dramma più grande dell’abbandono paterno, è penetrata in ogni ambito del cinema americano e non.

Dieci anni fa, per il 20esimo anniversario del film, fu prodotta una versione rimasterizzata del dvd, con scene aggiunte, ritocchi digitali: un ammodernamento che scontentò i fan e il regista stesso, che si pentì di quell’operazione, come ebbe modo lui stesso di dichiarare.

In quest’occasione invece e anche per festeggiare il centenario dell’Universal, il 24 ottobre prossimo sarà distribuito il blu ray di “E.T.” Si tratterà di versione rimasterizzata che tra gli extra – oltre a trailer, scene eliminate, ecc. – vanterà due contenuti inediti: una lunga intervista a Steven Speilberg e il “The E.T. Journals”, giornaliero della creazione del film, con video del backstage girati dal direttore della fotografia John Toll. Cosa abbiamo più amato di E.T., noi bambini degli anni ’80?

È sempre Spielberg a darci una spiegazione. “Le migliori scene del film sono quelle che ancora ci toccano. Quando la bicicletta vola oltre la luna e E.T. mormora “casa casa”, il nostro cuore è pieno come la luna stessa. Con un lenzuolo bianco avvolto attorno al viso come un burqa, il piccolo alieno è come un Lawrence d’Arabia su una bicicletta”.

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