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Diritto di critica | March 29, 2024

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Per fermare lo spread, "migliorare la produttività". Ma come?

Giorgio Napolitano ritiene le difficoltà attuali del Paese di gran lunga amplificate rispetto alla situazione reale dell’Italia e definisce come inspiegabile l’alto spread italiano, mentre elogia l’operato dell’esecutivo e le nostre banche che sarebbero più solide di quelle europee dei cosiddetti paesi “virtuosi”. È certo che le parole del Capo dello Stato – unite a quelle con cui Monti ha annunciato l’inizio di una ripresa economica alla nostra portata – viste con il cannocchiale della crisi e dall’angolazione di un malessere sociale sempre crescente potrebbero sembrare figlie di un eccessivo ottimismo.

“Non realistici 400 punti di spread”. Una flebile speranza pronta a crollare sotto il peso di un autunno di mobilitazioni a catena e quello di una campagna elettorale che, anche tra le forze favorevoli a Monti, potrebbe essere impostata tutta in chiave anti governativa. Con la tentazione crescente di promettere l’abolizione di questo o quel provvedimento, di questa o quella tassa. Eppure, stavolta, un dato significativo in sintonia con le dichiarazioni di Monti e Napolitano  sembra giungere dalla Banca d’Italia. Palazzo Koch ha quantificato in uno studio il premio Btp-Bund “nell’ordine dei 200 punti base”. In pratica, secondo la stima degli economisti di Bankitalia, gli oltre 400 punti attuali del differenziale dai titoli tedeschi sono legati “a fenomeni di contagio”. In pratica, paghiamo un effetto psicologico, dovuto al timore di una nostra possibile insolvenza con conseguente avvitamento, che ci penalizza più del dovuto. Ampie differenze, si legge ancora, tra gli spread stimati e quelli correnti si riscontrano anche per scadenze più brevi: 180 punti base contro 410 sulla scadenza a due anni e 270 punti base contro 490 su quella a cinque anni.

Il danno c’è. Lo studio di Bankitalia potrebbe contribuire a spiegare come mai i nostri “bistrattati” titoli continuino, finora e per fortuna, ad essere acquistati nelle varie aste. Più che consolarci, però, il differenziale “gonfiato” per timore di un contagio dovrebbe creare inquietudine. Sarà anche sovrastimato, ma, intanto, lo spread si sta abbattendo in maniera inesorabile sull’economia reale. Secondo la Bce, a luglio, in media le piccole e medie imprese italiane hanno ottenuto finanziamenti a fronte di un tasso del 6,24%, circa il 60% in più del 4,04% pagato dalle imprese tedesche alle rispettive banche (dal 2003, dall’inizio delle rilevazioni della Bce, il tasso più basso). E non basta, dato che siamo svantaggiati anche nel confronto con le imprese francesi, a cui viene chiesto un tasso del 4,1%. Su un milione di euro di prestito, cioè, paghiamo molto di più di altri Stati e tutto questo lo scontiamo in competitività. E su questo punto che, stime o no, mina crescita e ripresa.

“Migliorare la produttività”. Su questo punto, Mario Monti ha elogiato il comportamento delle parti sociali, ma ha esortato aziende e sindacati a fare ancora di più per abbattere non solo lo spread sui tassi d’interesse, ma anche lo spread di produttività esistente. I due temi, in realtà, sembrano strettamente connessi. Ed ora – visto, tra l’altro, il costo maggiore per accedere a un finanziamento in Italia e gli effetti della riforma del lavoro, che non sembrano andare nella direzione sperata – come si recupera il gap produttivo? A cosa allude il richiamo del professore della Bocconi? A fare in modo di scongiurare gli scioperi previsti? O forse a produrre di più contenendo i costi? E se fosse così in che modo? Visto che una minore tassazione con sgravi fiscali sul costo del lavoro per le imprese – come si è affrettato a precisare il governo dopo le aperture possibiliste di Fornero e Passera – non è opzione al momento praticabile? Monti ha parlato di contrattazione di secondo livello e più in generale, di un’azione mirata a correggere gli squilibri caso per caso, anche ricorrendo agli strumenti messi in campo dalla riforma Fornero: formazione professionale, apprendistato e contratti di solidarietà. Ma intanto, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi e l’ex ministro Cesare Damiano, del Pd, chiedono di tassare meno i lavoratori per rilanciare i consumi e di investire sullo sviluppo con interventi a lunga gittata, ad esempio, rilanciando la ricerca.

Sarà la pioggia di questi ultimi giorni, ma l’autunno sembra già bussare alle porte.

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Comments

  1. vito leucci

    Prima ci affossa con tassazioni inadeguate dato il momento, facendosi sprofondare nella recessione, poi vuole da noi italiani il recupero della produttività? ma quest’uomo è pazzo?. Ditegli, per favore, che sarebbe bene che andasse da uno psichiatra. Non ha insegnato che aumentando l’IVA e tassando le aziende, il lavoro, la classe media, i pensionati, si diminuisce, di conseguenza la domanda aggregata e le industrie che vendevano in italia chiuderanno?. Ma cosa diavolo farnetica?

  2. andrea

    Prima di migliorare la produttività nel privato il sig. monti dovrebbe pensare ad aumentare la produttività della pubblica amministrazione, o meglio ancora la produttività delle categorie a cui appartiene. Mi riferisco alla produttività dei professori universitari, baroni capaci di succhiare il succhiabile dalle casse dello stato per restituire rendimenti tra i più bassi d’europa… Sulla produttività della classe politica nemmeno mi esprimo, sarebbe come sparare all’ambulanza. Come produttività di banchieri lobbisti e rappresentanti dei grandi gruppi finanziari di potere sovranazionale anche li avrei dei dubbi: non mi sembra proprio che stiano andando verso gli obiettivi desiderati (o forse si se per obiettivi possiamo intendere l’impoverimento generalizzato delle popolazioni dei paesi più avanzati e la distruzione delle loro economie a vantaggio di pochissimi loschi personaggi ultraarricchiti vagamente appartenenti a entità sovranazionali che non rispondono a nessuno se non ai loro megaconti nei super paradisi fiscali)
    Andrea di Lucca