Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | April 20, 2024

Scroll to top

Top

Obama e Romney, a perdere è la Nuova America

Gli indignati di Occupy Wall Street, le donne, l’ambiente. La Nuova America, che Barack Obama chiamava al cambiamento quattro anni fa, è la vera perdente di queste elezioni: il presidente in carica ha smarrito per strada queste promesse, e il rivale Romney non intende raccoglierne il testimone. Sulla politica estera un’unica certezza: l’America del futuro sarà la più isolazionista degli ultimi 60 anni.

A due settimane dal voto, l’unica certezza è chi ha già perso. Basta guardare i programmi dei candidati per accorgersi dei buchi: si punta tutto sulle tasse (a colpi di slogan populisti), sulla Nazione, sulle gaffe del rivale. Le idee sui punti importanti (difesa, giustizia sociale, welfare, economia) sono poche e confuse. Una piccola rassegna per non dimenticare.

Ambiente. Il primo passo falso, nelle promesse di Obama, è stato il disastro della Marea Nera del 2010, che ha sparso per mesi petrolio nel Golfo del Messico. Un disastro che tocca il presidente: mentre il pozzo Macondo della Deepwater Horizon esplodeva, a Washington il Congresso democratico votava per allargare le concessioni di trivellazione petrolifera (su beneplacito di Obama) sulla costa nordorientale degli Stati Uniti. Non solo. Il grandioso piano di investimenti pubblici in energie rinnovabili ha deluso le attese. In 3 anni lo Stato Federale ha erogato 3,4 miliardi di dollari in finanziamenti e prestiti garantiti alle aziende, con l’obiettivo di generare 60.ooo posti di lavoro e un nuovo settore industriale. Il risultato? Meno di mille posti di lavoro, secondo l’Investor’s Business Daily, e almeno venti fallimenti aziendali. Come la Solyndra, che doveva diventare la prima produttrice mondiale di pannelli fotovoltaici – grazie al denaro pubblico – e ha chiuso i battenti il 31 agosto 2012.

Non conforta sapere che il rivale di Obama ignora radicalmente il tema: nei suoi discorsi, il termine green è rarissimo, e mai approfondito.

Wall Street. All’indomani della crisi finanziaria, Obama aveva usato parole di fuoco contro l’alta finanza newyorchese, minacciando strette severe e controlli radicali. Tutto questo non è arrivato: il salvataggio delle banche, iniziato sotto Bush, è proseguito con Barack, e tuttora il cordone ombelicale tra Wall Street e la Casa Bianca è forte. Le famose tasse per i ricchi lanciate da Obama in campagna sono ancora da venire, in gran parte: ad accorgersene un intero popolo di indignati, che per un anno ha fatto sperare per una “rivoluzione pacifica”. Che non è arrivata. Nessuno – nè Obama, nè i Tea Party, nè Romney ne ha raccolto la sfida vera.

Donne. Il “soffitto di cristallo” di clintoniana memoria non si è mosso di un millimetro, con Obama. I posti di lavoro più importanti – e remunerativi – restano in mano agli uomini: la parità dei salari è ancor oggi tema di campagna elettorale, perché mai realizzata finora. Lo stesso vale per la legge sull’aborto, nodo centrale della campagna elettorale già dal 2008: in 4 anni non è stato portato a casa il risultato (nonostante un Congresso a maggioranza democratica per 2 anni).

In politica estera, già non si parla più del piano di disarmo nucleare congiunto con Mosca, i negoziati Start 2 ripartiti 2 anni fa e nuovamente impantanati. La politica “morbida” di Obama con l’Islam si è scontrata con l’intervento in Libia, che ancor oggi soltanto una parte dei musulmani magrebini considera un “gesto umanitario”. E l’ondata di assalti alle ambasciate Usa negli ultimi 2 mesi ha dato un ulteriore colpo di grazia alla “mano tesa” di Barack. Eppure il presidente ha chiuso la guerra in Iraq (abbandonandolo al suo destino) e ha pianificato il rientro dall’Afghanistan dei militari a partire dal 2014. Il rivale repubblicano non ha su questi elementi alcun Piano B da proporre, oltre ad un generico “pugno duro” con l’Iran.

Romney, se vincesse, non garantirebbe nessuno dei progressi sociali che l’America aveva chiesto 4 anni fa. Il Grande Cambiamento di Obama sembra essersi ridotto ad uno slogan: “la General Motors è viva, Bin Laden è morto”. C’è da chiedersi a quale prezzo, e soprattutto se questo è sufficiente.

Comments