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Diritto di critica | March 29, 2024

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Brasile, un paese infettato dalla corruzione

di Marco Luigi Cimminella

Dilma Rousseff, presidente del Brasile, ha destituito alcuni pubblici ufficiali in quanto ritenuti membri di una rete di corruzione che, ramificata in un ministero e sette organi istituzionali, era stata smantellata venerdì 24 novembre dalla Polizia Federale nell’ambito dell’operazione Puerto Seguro.

Sono state trattenute 21 persone, accusate di corruzione, frode, falsificazione di documenti e traffico d’influenza. Tra i sospettati rimossi dal proprio incarico vi sono Rosemary de Noronha, ex-segretaria personale dell’ex-presidente Luiz Inácio Lula da Silva e attualmente dirigente dell’ufficio regionale della Presidenza di San Paolo e José Weber Holanda Alves, membro della Abogacía General de la Unión del governo. Nella lista degli indagati figurano anche due funzionari raccomandati dalla stessa Rosemary de Noronha: il direttore dell’Agenzia Nazionale dell’Acqua, Paulo Rodrigues Vieira e il direttore delle Infrastrutture aeroportuali dell’Agenzia Nazionale dell’Aviazione Civile, Rubens Carlos Vieira. Secondo gli inquirenti, i due fratelli erano incaricati di individuare e reclutare impiegati governativi inclini a compromettersi nell’affaire, mentre un terzo fratello, anche questo agli arresti, si impegnava a trovare imprenditori desiderosi di pagare per ottenere false e rapide autorizzazioni.

Intanto la polizia sta allargando le indagini alle altre agenzie federali per valutare l’ampiezza di questo schema che è emerso dopo che, nel 2010, per un ripensamento, un funzionario dell’ufficio contabile restituì la somma di 150mila dollari ottenuta in cambio dell’elaborazione di un rapporto fittizio.

Il caso esplode poco dopo il più grande processo di corruzione che ha vissuto il Paese, in cui la Corte Suprema ha sentenziato la colpevolezza di alcuni degli assistenti di Lula da Silva nell’indagine sulla compravendita di appoggio parlamentare al Partito dei Lavoratori. Lo scandalo, emerso nel 2005, fu definito Mensalão (pagamento mensile) e vedeva coinvolti alcuni dei collaboratori più stretti dell’ex presidente, tra cui Jose Dirceu, capo dello staff di Lula da Silva tra il 2003 e il 2005, Jose Genoino, ex-capo del partito, e il tesoriere dello stesso, Delubio Soares. Secondo i giudici, il sistema prevedeva l’erogazione di benefici e somme di denaro a favore dei membri del Congresso in cambio del loro sostegno all’amministrazione in carica durante votazioni decisive. La diversione di fondi pubblici era necessaria anche a finanziare campagne politiche.

L’ex presidente brasiliano Lula da Silva si è dichiarato estraneo ai fatti e all’insaputa di queste dinamiche illegali: alla fine non è stato considerato direttamente implicato e ha potuto terminare il suo mandato politico nel 2010, registrando, nonostante lo scandalo, elevati livelli di consenso. Lo stesso è accaduto oggi con Dilma Rousseff, ex guerrigliera ed erede di Lula, la cui popolarità si sta consolidando grazie all’avvio di una tenace campagna di lotta alla corruzione, un fenomeno da tempo dilagante nelle alte sfere dirigenziali brasiliane.

Secondo Matthew Taylor, professore alla School of International Service dell’American University di Washington (D.C.), la corruzione è intrinsecamente legata alle vicende politiche del Paese. E le stime parlano chiaro: la percentuale dei fondi pubblici dirottati, la maggior parte dei quali inviati all’estero, oscilla fra il 2 e il 5 per cento del PIL nazionale. Una dinamica, questa, che può essere definita multilivello, nella misura in cui non si sviluppa solo sul piano nazionale, ma che irrompe anche sullo scenario regionale e locale, attraversando così le diverse giurisdizioni: membri del Congresso acconsentono a sovvenzionare investimenti poco trasparenti delle diverse municipalità, ricevendo in cambio generose tangenti.

L’esasperazione popolare nei confronti del problema è evidente: negli ultimi anni sono aumentate le organizzazioni non governative che, relazionandosi attraverso una sistematica condivisione di informazioni sui casi locali di corruzione, hanno costituito un sistema organizzato di denuncia delle pratiche criminali. Inoltre, la pressione dell’opinione pubblica ha spinto anche il Congresso ad approvare, nel 2009, una legge che impedisse ai politici, dichiarati colpevoli di un crimine in corte d’appello, di continuare a esercitare liberamente il proprio mandato.

Nonostante questi sforzi continui, il fenomeno è lungi dall’essere debellato. Le radici del problema sono rintracciabili, a livello sostanziale, nella legislazione che regola la politica e le sue più concrete manifestazioni.

Consapevole dei pericolosi effetti destabilizzanti che questo male sociale è in grado di generare, come la sfiducia della popolazione nei confronti della classe dirigente e la mancanza di credibilità nell’azione politica, Dilma ha cercato di mostrare, fin dall’inizio del suo mandato, una forte inclinazione per una limpida gestione amministrativa. Tuttavia, nonostante la perseverante volontà del Presidente, i continui scandali dimostrano che la superficie del problema è stata solo leggermente scalfita.

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