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Diritto di critica | April 16, 2024

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Il sistema bancario italiano prova a salvarsi e pensa alle "banche spazzatura". Ecco di cosa si tratta - Diritto di critica

bancheL’ANALISI – Una ‘bad bank’ anche da noi? Dopo l’apertura del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, la creazione di una bad bank (letteralmente: ‘banca cattiva’), sembrerebbe essere più vicina. Ma cos’è una bad bank? Si tratta di una struttura parallela alla banca vera e propria (la good bank) e creata ‘artificialmente’ allo scopo di ricevere dagli istituti bancari in difficoltà le grandi quantità di crediti deteriorati – tra cui i famigerati titoli tossici – che queste non riescono a smaltire. Le banche cedono parte del proprio portafoglio a questi strumenti finanziari di fatto ripulendosi dalle perdite derivanti da crediti difficilmente esigibili ed evitando al contempo una ricapitalizzazione a carico degli azionisti.

L’obiettivo della creazione di una bad bank, quindi, è quello di depurare gli istituti finanziari dai crediti deteriorati che soffocano i bilanci e bloccano i prestiti a famiglie e aziende. A tal fine si utilizza un veicolo finanziario, un deposito– o, se preferite, una discarica – dove inserire le perdite frutto di derivati e asset tossici.

Quando parliamo di attività tossiche o asset tossici si intendono i titoli legati ai mutui subprime e tutti i prodotti e investimenti iscritti in bilancio nell’attivo patrimoniale con un elevato valore nominale (li abbiamo pagati molto), ma che hanno un valore di mercato prossimo allo zero (vendendoli in quel momento ricaveremo poco o nulla).

Lo sdoppiamento in good e bad bank serve a disfarsi dei famosi ‘titoli spazzatura’ con la strategia che negli Usa è detta del “cash for trash” . Si opera una razionalizzazione dell’intricatissima e interrelata situazione prodotta dall’inesigibilità di alcuni crediti. Per fare un esempio: è come se col bisturi si tagliassero i lembi di carne infetta e si riprendesse a vivere con un corpo sano. Oppure, come se si aggiustassero i pezzi rotti di un’auto in officina, mentre la macchina continua la sua corsa priva di guasti. Una volta istituita e quotata (tramite una scissione azionaria con sottoscrizione di azioni privilegiate da parte del governo, oppure di azioni ordinarie vendute sul mercato), la bad bank gestisce i crediti rischiosi in proprio, cercando di farli rientrare o attendendo il rialzo del valore di mercato. In ciò beneficiando anche degli eventuali rendimenti che, data la scarsa sicurezza delle realizzazioni, sono potenzialmente molto alti.

Fin qui la sommaria descrizione, ma per l’economia italiana il punto che interessa e da solo giustificherebbe l’operazione è un altro. Con la creazione di una bad bank, infatti, possono essere liberate le risorse delle banche facilitando l’accesso al credito. Non dovendosi più preoccupare di fronteggiare le sofferenze interne e le perdite in bilancio, infatti, gli istituti potrebbero concedere ossigeno in più alle aziende asfissiate dalla crisi. Le banche, in pratica, tornerebbero a funzionare come facevano prima della crisi.

Lo ha espresso chiaramente – durante il tradizionale discorso alla ventesima assise dell’Assiom Forex, quest’anno tenutasi a Roma – il governatore Ignazio Visco che si è detto favorevole agli interventi «..in corso presso alcune banche, volti a razionalizzare la gestione dei crediti deteriorati con la creazione di strutture dedicate in grado di aumentare l’efficienza delle procedure e la trasparenza di questi attivi». Il riferimento è alla bad bank che Intesa Sanpaolo e Unicredit, secondo indiscrezioni di stampa (Financial Times) sembra stiano costruendo insieme al fondo statunitense Kkr, e all’altra iniziativa capitanata da Mediobanca per convogliare i crediti a rischio degli istituti di media dimensione.

Ma Visco è andato anche oltre affermando che «interventi più ambiziosi, da valutare anche nella loro compatibilità con l’ordinamento europeo, non sono da escludere, possono consentire di liberare, a costi contenuti, risorse da utilizzare per il finanziamento dell’economia». Si tratta di un’ipotesi di sistema che chiama in causa la mano pubblica?

Va tenuto conto che la situazione è grave. A giugno scorso, il totale dei crediti di difficile riscossione in possesso delle banche ha superato i 300 miliardi. Una cifra enorme su cui non si possono dormire sonni tranquilli. Secondo quanto comunica l’ABI, le ‘sofferenze lorde’ – il totale assoluto dei crediti dubbi e incagliati (che non stanno pagando) nel bilancio delle banche –, a novembre 2013, ha fatto registrare un nuovo record a 149,6 miliardi di euro, di cui 100miliardi verso le imprese e 31 verso le famiglie. Mentre le‘sofferenze nette’ – i crediti dubbi e incagliati al netto delle svalutazioni già effettuate trimestralmente dalle banche e portati in bilancio in conto economico – ammontano a 75,6 miliardi. Inoltre il rapporto tra sofferenze nette e ‘impieghi’ (il totale dei soldi concessi in prestito dalle banche) è arrivato al 4,08%, prima della crisi non raggiungeva l’1%. Ricordate quante volte abbiamo sentito ripetere che la situazione delle nostre banche era solida? Che non c’era da preoccuparsi? Beh, la questione non stava proprio così e adesso che si è fatta esplosiva ce ne rendiamo conto.

Ora, inoltre, il problema diventano gli stress test che la Bce si appresta a condurre su 128 banche europee, tra cui 15 italiane. I bilanci saranno passati al setaccio e per gli istituti di casa nostra potrebbero esserci grossi problemi. Lo sanno le banche e lo sa Bankitalia che nell’immediato teme una bocciatura non da poco considerando il traguardo futuro dell’Unione bancaria europea. Vista la situazione, la Ue potrebbe chiedere per molti istituti una ricapitalizzazione delle sofferenze che, se non impossibile, è assai difficile da fare nel breve periodo soprattutto per le banche medie e piccole. Per evitarlo una bad bank potrebbe essere molto utile, soprattutto se capace di trattare e recuperare tutti i crediti anomali sparsi per il nostro sistema bancario.

Le bad bank in realtà sono state utilizzate in diversi casi. In Svezia, in Inghilterra (Lloyd’s), ultimamente in Spagna – dove il sistema bancario è stato salvato con i 60 miliardi di aiuti europei e la creazione di una bad bank – e in molti altri paesi. Anche da noi non si tratta di una novità. Una bad bank privata fu adottata, negli anni ’90, per il Banco di Napoli, ai tempi della sua acquisizione da parte di Intesa San Paolo. In pratica venne creata una società che recuperò gran parte dei crediti anomali, mentre la banca“ripulita” poteva riprendere a fare la banca con tutto ciò che questo significa.

Ora che Visco ha aperto a questa possibilità si aprono due strade: da un lato i privati e dall’altro lo Stato. Nel primo caso i privati farebbero tutto da soli: Intesa e Unicredit stanno da tempo studiando questa possibilità. Non tutti gli istituti in crisi, però, hanno la forza per farcela da soli e le parole di Visco fanno pensare ad una bad bank molto più estesa in cui entri la mano pubblica.

Ma, allora, la domanda diventa: chi salverà le banche? Chi metterà i soldi a garanzia per un’operazione che inizia a subire le critiche in primis delle associazioni dei consumatori: «le dichiarazioni del Governatore- dicono Adusbef e Federconsumatori – confermano i legittimi sospetti, circolati nei giorni scorsi perfino in bozza, con il Governo pronto a presentare proposte per addossare ai contribuenti e risparmiatori, tramite la Cassa Depositi e Prestiti, il fardello di 135 miliardi di sofferenze, per i restyling di bilancio».

Sarà la Cassa depositi e prestiti – la Spa in mano per il 70% al Ministero dell’Economia e delle Finanze e per il 30% alle fondazioni bancarie, che utilizza (‘gestione separata’) il risparmio postale per finanziare gli enti pubblici e obbligazioni proprie (‘gestione ordinaria’) per infrastrutture di interesse pubblico – la “lavatrice” utile a ripulire gli istituti di credito dai loro guai?

Vedremo, dato che il problema è duplice. Da un lato, – viste le responsabilità finanziarie, la scarsità di credito erogato e il cinismo con cui viene colpito chiunque si trovi ad andare sotto anche per cifre minime – un sentimento di giustizia sociale imporrebbe alle banche di cavarsela da sole e quindi con una ricapitalizzazione a carico degli azionisti. Dall’altro, c’è in ballo la salute del nostro sistema finanziario che, in un modo o in un altro, riguarda tutti, ed il cui tracollo certo non aiuterebbe nessuno.

L’episodio del decreto Imu-Bankitalia e del famoso regalo agli istituti di credito è troppo fresco perché questo nuovo capitolo non insospettisca circa l’opportunità ed alle reali motivazioni di un’operazione all’ombra della quale si staglia la solita domanda: il salvataggio bancario toccherà ancora una volta agli italiani?

Twitter@virgiliobart