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Diritto di critica | April 24, 2024

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Disastro Germanwings, i dubbi di un pilota - Diritto di critica

Il comandante di un Airbus 320 spiega a Ddc perché qualcosa non torna

Dopo il disastro della Germanwings, Diritto di Critica ha incontrato un comandante di una nota compagnia aerea, che lavora proprio su un Airbus 320, con l’intento di avere punti di vista alternativi e nuovi spunti di riflessione rispetto a quanto è stato riportato dai media, in attesa dei risultati dell’inchiesta condotta dalle tre autorità aeronautiche. Ecco cosa ci ha raccontato.

Comandante, quali sono gli step di un’inchiesta dopo un incidente aereo?

“E’ coordinata da tre autorità aeronautiche: quella della nazione nella quale è avvenuto l’incidente (Francia); quella dove è stato costruito l’aeromobile e dove risiede l’autorità che ha rilasciato la certificazione alla compagnia aerea (Germania). Normalmente, nell’iter dell’inchiesta, si procede con molta cautela, per capire le cause dell’incidente: bisogna isolare l’aerea dove è caduto l’aeromobile, raccogliendo più possibile i reperti; è importante identificare e analizzare le scatole nere (una registra le comunicazioni tra gli enti di controllo e i piloti con un microfono ambientale per le conversazioni e i rumori all’interno della cabina di pilotaggio, il cosiddetto Cockpit voice recorder, l’altra scatola nera registra i dati di volo, che vengono periodicamente scaricati per statistiche e indicatori di performance dell’aereo. Quest’ultima scatola nera, la più preziosa e protetta, si trova nella coda dell’aereo, mentre la prima si trova nella parte anteriore, in prossimità della cabina di pilotaggio).

Al termine dell’inchiesta viene redatto un “final report”, ovvero una ricostruzione dell’evento in base ai dati acquisiti.

Potremmo ripercorrere insieme le “normali” procedure di accesso alla cabina di pilotaggio da parte del personale di bordo?

“Per entrare è necessario un codice numerico fornito dalla compagnia aerea a tutti i membri dell’equipaggio, in quanto una delle eventualità è che entrambi i piloti, o solo uno di essi, si sentano male durante il volo. In quel caso c’è l’opportunità per gli assistenti di volo di prestare soccorso. Il codice, tuttavia, non apre automaticamente la porta, ma fa sì che venga emesso un sibilo di 30 secondi in cabina di pilotaggio in grado di attirare l’attenzione di chi è all’interno. Trascorsi i 30 secondi, la porta si sblocca per un secondo solamente prima di chiudersi nuovamente. Qualora la persona all’interno non voglia consentire l’accesso può bloccare la porta attraverso una maniglia interna. Il sistema è stato pensato apposta in caso di attacco terroristico perché, anche qualora l’assistente di volo sia minacciata, il codice di accesso non permette l’ingresso automatico in cabina. In quel caso, chi si trova all’interno, osservando con la telecamera posta all’ingresso della cabina, non fa entrare nessuno attraverso un pulsante con su scritto deny (negare), in modo che per i seguenti dieci minuti sia inibito l’accesso dall’esterno con quel codice”.

In caso di emergenza, quali sono le procedure da attuare?

“Il personale di bordo sa di dover effettuare una serie di azioni molto velocemente, a memoria. Nel caso in cui ci siano dei minimi danni all’aereo, come il malfunzionamento di una valvola di pressurizzazione, i piloti possono decidere di far aumentare o diminuire la pressione all’interno dell’aereo in modo da portarla a livelli normali. Tale procedura è pericolosa e rischia di procurare danni fisici alle persone e al personale di bordo se non vengono seguite le procedure di sicurezza. In caso di danni irreversibili all’aereo, come l’espulsione di uno dei portelloni, la pressione aumenta in un solo secondo, con conseguenze drammatiche per tutti. In condizioni normali, a 11.000 metri di altezza, c’è un “tempo utile di coscienza”, durante il quale il pilota ha circa 12 secondi per mettersi la maschera d’ossigeno prima di perdere coscienza.

Danni a impianti idraulici, a quello elettrico o ai circuiti della pressurizzazione, seppur invisibili a una prima osservazione, possono essere molto gravi e potrebbero mettere fuori uso uno dei due motori dell’aeromobile. E’ una delle eventualità che i media non hanno considerato, dando la colpa totalmente a Lubitz e alla sua follia omicida. Non è da escludere, infatti, che il copilota si sia sentito male durante il volo e che la porta blindata sia rimasta bloccata in seguito ad un guasto della rete elettrica. Una serie di coincidenze negative potrebbe aver fatto sì che il comandante non sia riuscito ad aprire la porta perché bloccata dall’interno e Lubitz si sia sentito male nella cabina. Potrebbe essere, anche, che entrambi i piloti fossero in plancia di comando e che si siano sentiti male, in seguito a una depressurizzazione dell’aeromobile.

Anche il tempo stesso di schianto al suolo, 5-10 minuti come testimoniato dal tracciato radar, rappresenta a tutti gli effetti un tempo di discesa “quasi normale”: un pilota determinato a schiantarsi al suolo avrebbe impiegato non più di 3 minuti, disattivando il pilota automatico”.

Che idea si è fatto delle indiscrezioni trapelate dai media?

“Trovo singolare che subito dopo l’incidente siano stati decodificati i rumori ambientali registrati dalla scatola nera al punto da distinguere esattamente le urla del comandante posto fuori la cabina e dietro una porta blindata, che avrebbe detto “Apri questa maledetta porta”. Secondo la mia esperienza, si sarebbero potuti riconoscere i colpi sulla porta, le grida, ma non certo una frase in modo chiaro (o il respiro di Lubitz, ndr). Così come le parole che avrebbero urlato i passeggeri consci di quanto stava accadendo. In passato ho avuto occasione di ascoltare alcune registrazioni ambientali del cockpit, di difficile interpretazione e scarsa identificazione. Solo un attento lavoro di indagine e un lungo studio riescono a separare le comunicazioni umane da quelle ambientali. I centri di ricerca, in grado di isolare i file audio, sono estremamente specializzati e non fanno trapelare alcun risultato prima della fine dell’inchiesta”.

Si è discusso molto della vita privata di Lubitz, ci potrebbe spiegare qual è l’iter per il conseguimento dell’idoneità al volo?

“E’ prevista una visita di idoneità molto accurata, viene fatto un profiling dell’individuo, senza il quale la carriera del pilota non può proseguire. I controlli sono annuali e diventano semestrali dopo i 65 anni. Le compagnie aeree scelgono i piloti per le caratteristiche e il profilo che hanno. Il controllo psico-attitudinale, a livello di autorità aeronautiche, non c’è ancora. Le visite per le idoneità al volo devono essere fatte da medici autorizzati all’interno di una struttura adeguata con gli strumenti appositi. La procedura è standardizzata in tutta Europa. L’Autorità aeronautica, qualora un pilota non risulti idoneo al volo, dovrebbe comunicare col diretto interessato spiegandogli i motivi del diniego e fornendo indicazioni per il trattamento sanitario. Tramite l’Autorità aeronautica nazionale dovrebbe, inoltre, relazionarsi con la compagnia aerea comunicando che il proprio pilota non risulta idoneo al volo fino al prossimo avviso, senza spiegare la motivazione. Questa procedura è fondamentale perché tutela la privacy, soprattutto in caso di malattia psichiatrica. L’autorità aeronautica dovrebbe sempre interagire, in maniera del tutto autonoma, con la compagnia aerea, perché un pilota a suo piacimento potrebbe contraffare i documenti in modo da risultare idoneo al volo. Il sistema, attualmente, è facilmente attaccabile. L’idea che Lubitz avesse sofferto di disturbi psichiatrici in passato non giustifica quello che ha fatto. Diversi colleghi hanno situazioni familiari non facili e non per questo si schiantano al suolo.

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