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Diritto di critica | March 16, 2024

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I giovani e la crisi del sogno d'Oriente. La Cina non cresce più - Diritto di critica

Dopo quindici anni il gigante asiatico rischia di fermarsi, e con lui le aspettative di una generazione intera

Super tecnologici, viaggiatori come mai i loro padri (107 milioni sono stati all’estero solo nel 2014), plurilaureati e pronti a dominare il mondo. I giovani cinesi nati negli anni Ottanta e Novanta erano in rampa di lancio, convinti di sfruttare l’onda lunga del miracolo economico di Pechino. E invece, il gigante che continuava ad aumentare incessantemente il reddito pro-capite dal 2000, ha rallentato la sua corsa. Certo, era impensabile mantenere quei ritmi di crescita del Pil (una media del 10 per cento all’anno), ma i segnali che arrivano evidenziano vecchie contraddizioni e nuovi problemi tipici, pensate un po’, delle società ad economia capitalistica.

Troppi laureati Nonostante l’invecchiamento della popolazione, i giovani in Cina costituiscono ancora un terzo degli abitanti dell’immenso Paese, per un totale di 400 milioni. La maggioranza di loro non ha mai visto la recessione o conosciuto la crisi ma ora, come ha dimostrato anche un sondaggio del quotidiano spagnolo “El País”, con l’8 per cento di disoccupazione è sempre più frequente trovare code ai centri di collocamento o testimonianze di chi si adatta a fare lavori in ambiti diversi da quelli per i quali ha studiato. Nelle università cinesi entrano ogni anno ben sette milioni di ragazzi, ma la crisi di molti comparti industriali e scientifici sta mettendo in pericolo sia il loro futuro che quello dei giovani non laureati, che in questi anni di boom trovavano lavoro nelle grandi aziende manifatturiere della costa cinese. Tutto sembra essere cambiato in un solo anno: «Dopo due decenni straordinari l’economia ha iniziato a rallentare – ha dichiarato il giornalista economico Eric Fish, autore del volume “China’s Millennials: The Want Generation” – e molti problemi sociali che affliggono i giovani stanno pian piano venendo a galla. I ragazzi condividono ancora l’ideale dell’ex leader cinese Deng Xiaoping, che predicava “diventare ricchi è glorioso”, ma hanno cominciato a vedere il denaro come un mezzo, non come un fine, e a volere una realizzazione personale, una vita migliore, più diritti». La sofferenza della seconda economia del pianeta non aiuta il suo governo a mantenere la stretta sui cinesi di domani.

GettyImages-470753052-634x450La crisi I dati parlano chiaro. La tendenza negativa, cominciata in primavera con il calo della domanda e della produzione di metalli e materie prime, è continuata con le perdite nel settore industriale (quello dell’elettronica in primis): sebbene ancora in segno positivo, l’Istituto nazionale di statistica di Pechino ha registrato un calo dell’8,8 per cento rispetto allo scorso anno. Centinaia le aziende, i colossi di energia, arredamento e tessile, le fabbriche che hanno chiuso, dichiarando il fallimento. Altro segnale preoccupante: i cantieri vuoti e il crollo del mercato immobiliare. La caduta della Borsa asiatica e la volatilità dei mercati, la scorsa estate, hanno aperto gli occhi agli economisti: la società internazionale di servizi finanziari, Citi, ha messo in guardia sui rischi che una recessione cinese potrebbe avere sull’economia mondiale, da qui al 2017, trascinando con sé per prime potenze medio-grandi come Brasile, Russia e Sudafrica, già in difficoltà. Per gli esperti «i dati sugli utili societari, i tassi di crescita e di inflazione stanno ad indicare una sola cosa: il calo della domanda». Ovvero, lo spettro della recessione.

Le rassicurazioni di Pechino Il governo cinese butta acqua sul fuoco e parla di xin changtai, ovvero il “nuovo normale”, la crescita più lenta ma più qualitativa, spiegando la strategia che dovrebbe portare ad incrementare i consumi interni di alta gamma e a specializzare la manodopera, a discapito degli investimenti pubblici e delle esportazioni. Scelta quasi obbligata, verrebbe da pensare, anche visto l’alto numero di aziende estere che ha abbandonato il Paese in favore di altri centri di produzione o del ritorno in patria (è il back reshoring, di cui avevamo parlato tempo fa). Il patto tra il potere dello Stato e la crescita economica sta vacillando, la sfida di Pechino ora è quella di reggere ai cambiamenti in corso; pronte nuove riforme per le oltre 155mila imprese statali. I giovani rampanti cinesi sono lì, pronti a reclamare il loro lavoro e a far valere persino i propri diritti. Hanno viaggiato, sono iper-connessi nonostante le censure, e sanno come va il mondo. Difficile contenerli.

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