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Diritto di critica | March 29, 2024

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La Raggi alla sbarra, inizia un lungo weekend di passione

Il sindaco di Roma deve oggi attendere il verdetto del giudice
mentre domani dovrà vedersela con il referendum su Atac

Oggi è il giorno della verità. Se Virginia Raggi, il sindaco di Roma, dovesse essere condannata per falso, si aprirebbe un problema di non poco conto nel Movimento 5 Stelle e anche all’interno del governo. Se, come Luigi Di Maio ha già spiegato, la Raggi dovesse essere condannata, dovrà di mettersi. Non è chiaro se le dimissioni dovranno essere irrevocabili o se saranno soggette a voto degli iscritti. Ma Virginia, dal canto suo, conta i suoi fedelissimi e non sembra disposta a mollare. “Il conduce etico non è mai stato attuato”, spiega il sindaco di Roma. “Solo una volta è stato applicato, cioè quando Pizzarotti fu espulso dal Movimento per non aver comunicato la sua iscrizione nel registro degli indagati”. Ma ora stiamo parlando di condanna, cioè di una situazione ben più grave. Eppure, con il nominare Pizzarotti sembra quasi voler evocare lo strappo: via il simbolo e si va avanti, come fece il sindaco di Parma.

Questa prospettiva potrebbe anche essere favorevole a Di Maio, trasformando la Raggi in un capro espiatorio per la disastrosa situazione di Roma. Ma ciò potrebbe anche spianare la strada a un candidato leghista per il Campidoglio. Se finora Matteo Salvini è stato cauto nell’attaccare Virginia, stando attento a non incrinare il difficile equilibrio di governo nazionale, con Roma in mano a fuoriusciti dal Movimento, avrebbe mano libera.

Se comunque oggi la Raggi dovesse essere assolta, dovrebbe poi affrontare domani (domenica 11 novembre) lo spauracchio del referendum sulla liberalizzazione (da sempre osteggiata dai 5 stelle) del servizio dei trasporti romani che al momento versa in condizioni disastrose. Promosso dai radicali, ha ricevuto anche un tardivo appoggio da parte dei dem, che forse hanno annusato la possibilità di una vittoria del Sì. Certo, si tratta comunque di una consultazione non vincolante per l’amministrazione capitolina, ma sarebbe una chiara sconfessione delle politiche portate avanti dai 5 stelle nella Capitale d’Italia.

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