“Hammamet”, al cinema la caduta di un leader. La recensione

Favino impressionante nel ruolo dello storico Presidente del Psi. Ma il film a tratti risulta lento e poco approfondito.
«La democrazia ha un costo». Queste parole pronunciate dal Craxi di Gianni Amelio sono giustificazione, espressione di un punto di vista, emblema di un periodo che ha segnato nel bene e nel male la storia d’Italia. Appena uscito nelle sale, “Hammamet” racconta l’ultimo periodo di vita del qui chiamato solo “Presidente”, rifugiatosi in Tunisia dopo lo scandalo di Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica. La pellicola non è volutamente una biografia, bensì un’umana rappresentazione della caduta di un leader, quasi senza fare ricorso a flashback. Anche per questo, forse, il film a tratti dà la sensazione di lasciare molto “non detto”, e inevitabilmente rivela alcuni momenti di stanca.
Hammamet e il passato che ritorna La famiglia, il figlio del vecchio amico socialista, l’avversario («Mai nemico») democristiano, la storica amante: i personaggi che sono o arrivano alla dimora tunisina assecondano i ricordi e consentono quindi allo spettatore di porsi dal punto di vista del politico tormentato, ancora arrogante e indomito, che non accetta la sconfitta: «Il passato torna anche nell’eremo tra gli ulivi e le colline di Hammamet – ha dichiarato il regista – dove il Presidente coltiva rimpianti, rimorsi, desideri e rancori. È un uomo macerato fino all’autodistruzione». Nel dipingerlo, Amelio decide di mostrarne alcuni dettagli intimi più o meno rilevanti, come la passione per Garibaldi e Anita (nome che viene dato, per licenza poetica, alla figlia nel film), l’amore per il buon cibo e il rapporto complesso con i figli. Un Craxi austero e allo stesso tempo fragile che scrive, commenta, telefona, riflette. E non smette mai di difendersi e sostenere piccato la sua verità, il suo aver accondisceso «peccati veniali in nome di un fine ultimo». Con un finale onirico e simbolico che si discosta in qualche modo dal resto della pellicola.

La metamorfosi di Favino Cinque ore di trucco e lo studio scrupoloso di decine di filmati hanno condotto Pierfrancesco Favino verso una caratterizzazione perfetta, fatta di gesti, sguardi e repentini cambi d’umore, e della quale impressionano anche il fiato corto dato dalla malattia, la smania e la camminata. La fisicità del suo Craxi aggiunge narrazione al film e spicca nel contrasto tra la luce abbacinante di Hammamet e il buio del declino, di fatto, di un mondo intero: «Ho cercato di compiere una metamorfosi emotiva, non solo esteriore – così l’attore in un’intervista – La memoria di Craxi è un ricordo molto personale di tanti che hanno vissuto in quel periodo. Ognuno di loro ha già un’immagine dentro di sé, e se da una parte non la devi tradire, dall’altra devi illuminare gli aspetti sconosciuti dell’uomo: quelli che il film di Amelio indaga».
Orgoglio e presunzione Amelio ha confermato di non aver espresso alcun tipo di giudizio morale o politico, nemmeno sul pool di Mani Pulite, preferendo concentrarsi su una storia da rappresentare senza fronzoli o congetture. Ma si è riservato un’idea sul perché di una sconfitta: «L’orgoglio e la presunzione di esser nel giusto è una delle cose per cui Craxi ha perso, la sua ostinazione a credere che dovesse essere giudicato in Parlamento e non in tribunale ha fatto sì che facesse quella fine. Il film pone delle domande, la questione è ancora aperta».
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