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Diritto di critica | March 25, 2024

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L'Aquila: appunti dal terremoto - Diritto di critica

Ad un anno esatto dal terremoto che ha squarciato in due i cuori di una nazione intera, diritto di critica vuole celebrare il primo anniversario di quella tragedia con la testimonianza diretta di uno dei suoi autori, per mesi vicino ai luoghi del disastro a causa di ragioni lavorative. Siamo vicini alle famiglie di quell’immane tragedia, frutto della terra per alcuni, conseguenza dell’imperizia e di costruttori delinquenti per altri.

Lo staff di diritto di critica

Quando sono tornato nella zona rossa, a un mese dal terremoto, nel centro storico dell’Aquila si sentiva solo il rumore secco dei miei passi. Tutto intorno era deserto. Case vuote, spettrali, spaccate a metà o sfondate dalla scossa. Camere da letto rimaste esattamente come alle 3.32 di un mese prima: ante degli armadi aperti, vetri e pareti esplosi verso l’esterno, i segni della fuga precipitosa. Tutto immobile, fermo e senza voce. Come in una macabra fotografia.

VIA GABRIELE D’ANNUNZIO: TREDICI MORTI

Il 9 aprile 2009, tre giorni dopo il sisma,  in via D’Annunzio, poco distante dalla villa comunale, sono rimasto un giorno intero, dormendo appena un paio d’ore nella roulotte dei colleghi dell’Agenzia giornalistica Italia, in attesa di sapere se sotto al cumulo di macerie di quella che prima era una palazzina, ci fosse qualcuno ancora in vita. I vigili del fuoco erano stati allertati da un volontario della Protezione civile che con la sua squadra di soccorritori e l’uso dei geofoni credeva di aver sentito qualche rumore. Ambulanze e mezzi di soccorso erano arrivati in pochi minuti. In molti speravano nel miracolo. In via D’Annunzio adesso c’è una voragine. Alle 3.33 del 6 aprile 2009, un minuto dopo la scossa, di un’intera palazzina restava solo il tetto a spiovente su una montagna di macerie: tredici morti.

«Vivo a quaranta chilometri dall’Aquila – mi ha raccontato un cameraman della Rai, tra i primi ad arrivare sul posto la notte del 6 aprile – quando ho sentito la scossa ho subito preso la telecamera e sono uscito». La scena che gli si è presentata una volta giunto nel capoluogo abruzzese era agghiacciante. «Ovunque sentivi gente che urlava e non c’era luce. Le persone scavavano a mani nude da sole perché non erano ancora arrivati i soccorsi. Ricordo di aver chiamato in redazione e all’inizio nessuno  si era reso conto della gravità della situazione. Le prime immagini inviate sono state le mie». All’Aquila, al momento del terremoto, erano in servizio solo 13 vigili del Fuoco, compresi i reperibili. Tredici persone per far fronte all’emergenza di un sisma che da mesi tutti temevano.

LA STAZIONE: UN CAMPO PER SFOLLATI NEI VAGONI DEI TRENI

Uno dei campi più attrezzati era quello allestito presso la stazione ferroviaria dell’Aquila. Lo si raggiungeva costeggiando quelle che fino alle 3,32 di lunedì 6 aprile erano le mura di cinta della cittadella medioevale e che adesso giacciono sbriciolate lungo il terrapieno. Nei vagoni messi a disposizione da Trenitalia i volontari dell’Associazione Nazionale Carabinieri avevano  allestito un ricovero di fortuna. C’era una mensa al chiuso e i bagni erano quelli della stazione. «I Vigili del Fuoco hanno confermato l’agibilità di questi locali e così ci siamo attrezzati – mi spiegava in quei giorni un ex-carabiniere venuto da Torino – c’è un punto medico e circa 800 posti disponibili nei vagoni». Peccato che di giorno le carrozze fossero roventi e durante la notte i sensori del riscaldamento attivassero di conseguenza l’aria condizionata. Negli scompartimenti, le tracce di un sonno recente. Qualche bottiglia d’acqua, cuscini sparsi e le coperte ammassate ai piedi del “letto”. I vagoni puliti, i bagni disinfettati.

Un appunto sugli sciacalli. A raccontare è ancora il carabiniere: «Nelle prime ore successive al terremoto ci siamo trovati davanti al dramma nel dramma: abbiamo sorpreso alcune persone in un negozio che riempivano bottiglie con l’acqua del rubinetto e poi andavano in giro per i parcheggi a venderle a quanti si erano rifugiati nelle automobili».

LA TESTIMONIANZA: VIA XX SETTEMBRE 123

Passata la prima emergenza, c’è stato lo stress post-terremoto. A quasi sei mesi dalla scossa, una donna ha citofonato alla redazione con cui collaboravo all’Aquila. Voleva parlare con un giornalista. «I miei genitori vivevano in via XX Settembre 123», mi ha raccontato tra le lacrime. La storia che si porta dentro vorrebbe gridarla ma dice di aver «bussato a diversi quotidiani e nessuno mi ha voluta ascoltare. Si è salvato solo mio padre –ha proseguito – al posto del palazzo in cui abitavano adesso c’è una voragine perché l’intero edificio era stato costruito su grotte piene d’acqua (c’è un’inchiesta in corso, ndr) ed è stato inghiottito». Cinque morti. «Quando sono arrivata – ha spiegato – i soccorritori mi hanno dato in mano quel che restava del citofono e mi hanno chiesto di ricomporlo perché non avevano la più pallida idea di quanti fossero i piani dell’edificio. Nei giorni precedenti al sisma, ci avevano detto che quel palazzo non correva pericoli ma fin dagli anni Settanta sapevamo che la casa non era sicura: ‘Le colonne non avrebbero retto’ c’avevano detto trent’anni fa». E il terremoto del 6 aprile scorso ha confermato gli allarmi degli anni precedenti. «L’ascensore esterno – ha concluso – nuovo di zecca, era ridotto ad una scatoletta. E come se non bastasse ci sono arrivate cartelle esattoriali relative all’automobile di famiglia andata distrutta nel crollo: l’assicurazione ha risposto che mentre cercavo i miei genitori avrei dovuto anche preoccuparmi di recuperare la targa della macchina o almeno di fotografarla». La sua storia è finita sui giornali, le assicurazioni hanno modificato le procedure.

Oggi L’Aquila è un misto di silenzio e ricordi. La maggior parte dei palazzi sono ancora vuoti, le case del governo sono state costruite fuori città, in zone dove mancano servizi e mezzi pubblici. Le città sono spopolate. La Ricostruzione è una parola lontana, nei fatti e nell’anima.

Comments

  1. Una tragedia devastante trasformata in passerella per politici della maggioranza che nei giorni più difficili dell'anno scorso passeggiavano sulle macerie per raccogliere consensi. Di fronte a tanto dolore non riuscirò mai a dimenticare le parole di Berlusconi che suggeriva agli sfollati di "prenderla come un camping" o che abbracciava una nonnina davanti alle telecamere, la quale implorava silvio per una dentiera nuova. Nemmeno cito il costosissimo e assurdo G8 fatto all'Aquila con fuori i terremotati che protestavano, ignorati dai Tg.

  2. Ci sono i volontari della Croce Rossa, della Protezione Civile, Vigili Urbani accorsi da tutta Italia. Ci sono politici, tanti politici. C'è il "popolo delle carriole" che aspetta l'arrivo di Guido Bertolaso, per contestarlo.

    "Non può andare in televisione e dire che tutto è stato risolto – dice Sara Vegni del comitato 3e32 – è una bugia. Così come non può continuare a nascondere le responsabilità della Protezione Civile rispetto agli allarmi inascoltati prima della scossa fatale".

    Repubblica, 6/04/2010