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Diritto di critica | October 14, 2024

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Lo strano caso degli squilibri economici al G20 - Diritto di critica

Lo strano caso degli squilibri economici al G20

L’11 novembre si terrà a Seul il summit dei venti Paesi più industrializzati (il G20). L’agenda dell’incontro prevede, in sostanza, tre punti da affrontare: le nuove regole della finanza (le cosiddette Basilea 3), la politica monetaria e la guerra delle valute e, infine, gli squilibri economici che rischiano di stroncare la ripresa.

Su Basilea 3 non c’è molto da dire, visto che tutti i Paesi si sono detti d’accordo; della guerra delle valute abbiamo già parlato su queste pagine. Resta dunque la questione degli squilibri economici, l’argomento forse più caldo del summit.

Il problema vede contrapposti due fronti: da un lato i Paesi che consumano troppo, dall’altro quelli che risparmiano troppo. I primi, Stati Uniti in testa, sono quelli che stanno vedendo una ripresa più debole, e che quindi rischiano di non passare indenni un nuovo rallentamento dell’economia nei prossimi mesi; i secondi, invece, sono Germania, Cina e altri Paesi asiatici, che invece, grazie a politiche di bilancio e monetarie certo un po’ egoiste, ma anche virtuose, stanno conoscendo tassi di crescita piuttosto elevati.

I Paesi del primo tipo chiedono a quelli del secondo tipo di introdurre politiche che inducano i propri cittadini a spendere di più, ma non è nell’interesse di tali Paesi farlo. Nella pratica, scrive Roberto Perotti sul Sole 24 Ore, alla Germania viene chiesto di attuare politiche di bilancio meno virtuose; alla Cina di rivalutare lo yuan; ai Paesi asiatici di fermare l’accumulazione di riserve. Si tratta di richieste molto deboli: ai Paesi forti si chiede, in sostanza, di condividere la crisi dei Paesi in bilico.

La Germania risparmia molto perché ha attuato riforme che hanno reso possibile un elevato avanzo delle partite correnti (il che significa elevate esportazioni, come evidenziato qualche settimana fa); la Cina non rivaluta lo yuan perché ciò deprimerebbe le esportazioni e manderebbe sul lastrico (quasi letteralmente) miliardi di persone; chiedere poi ai cinesi di risparmiare di meno significa chieder loro di distruggersi, in quanto è solo con il risparmio che essi possono acquistare una casa, pagare le spese sanitarie e permettersi una pensione quando saranno inabili al lavoro, visto che il welfare cinese è ancora sottosviluppato; infine i Paesi asiatici accumulano riserve perché non possono permettere che si ripeta ciò che accadde negli anni Novanta: Paesi come Thailandia, Indonesia e Corea del Sud, proprio per mancanza di riserve valutarie, non riuscirono a sostenere gli attacchi speculativi contro le loro monete. La svalutazione provocò il ritiro dei capitali esteri, e ciò si tradusse in una devastante crisi sia finanziaria che economica, ben peggiore anche di quella mondiale che stiamo vivendo in questi anni.

Appare ovvio che esistano squilibri fra i due tipi di Paesi sopra menzionati, ma non è certo chiedendo a quelli “bravi” di essere meno virtuosi che tali squilibri verranno risolti. Anzi tale richiesta risulta essere debole perché si chiede ai giocatori in vantaggio di attuare una strategia perdente prospettando loro un (peraltro solo ipotetico) vantaggio nel lungo periodo.

L’unico campo di intervento in sede di G20, insomma, appare essere quello valutario, che forse offre gli squilibri meno accettabili. Ma sul resto la prospettiva va rovesciata: i Paesi che consumano troppo devono smettere di farlo ben oltre le proprie possibilità. La crisi finanziaria globale, tra le altre cose, ha fra le sue cause proprio i debiti contratti da persone che non potevano pagarli (gli ormai storici subprime). Sarebbe una svolta storica quanto impopolare soprattutto per gli Stati Uniti, Paese consumatore per eccellenza (2/3 del PIL è composto da consumi privati). Va detto che, proprio secondo uno di questi indicatori, i consumatori americani si stanno già abituando a consumare meno.

Lo stesso indicatore (anticipatore) prevede, però, che la stagnazione (se non la recessione) potrebbe durare ancora fino al 2012. È dunque indispensabile cominciare a cooperare per evitare un simile disastro, ma non è certo con pretese assurde che i problemi del mondo verranno risolti. Da Seul potrebbero comunque provenire raggi di luce se i Paesi concorderanno, quanto meno, sul fatto che sia necessario lavorare su soluzioni condivise: se la storia è maestra di vita, non può non essere ricordato che la crisi finanziaria e gli squilibri economici negli anni Trenta furono aggravati proprio dal fatto che i Paesi non cooperarono e anzi si chiusero a riccio nel protezionismo.

Un’esperienza che non possiamo permetterci di ripetere.

Photo by Presidencia de la Nación Argentina (Presidencia de la Nación Argentina) [CC-BY-2.0], via Wikimedia Commons

Comments

  1. ermanno

    allora a chi dare le responsabilita' del furto di petroliocheda tempo sta avvenendo in africa,i responsabili sono le mulitnazionali dei paesi industializzati (TUTTI) e chi li cura i bambini data l'elevetatemperatura del luogo,scoppiano le condotte e creano danni irreparabili alla gente e all'ambiente…termino dicendo da che mondo e mondo…il ricco ha vissuto sempre ai danni del povero.no comment.

  2. @Ermanno: le multinazionali fanno ciò che fanno in Africa per cause che i Paesi africani si autoinfliggono.

    È comunque sbagliato generalizzare: vi sono multinazionali che, grazie a governi che governano per la popolazione, portano ricchezza senza depauperare la gente.

    Il resto è retorica comunista di cui si può fare a meno, nel XXI secolo.