Si dimezzano le domande d’asilo ma non si ferma la richiesta di accoglienza. Sono oltre settemila le persone beneficiarie dello Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati) nel 2009 (più del doppio dei posti disponibili), oltre 4mila nei primi quattro mesi del 2010. Nonostante il crollo degli sbarchi (-74% rispetto al 2008) e delle richieste d’asilo (- 43%), l’accoglienza resta difficile: posti insufficienti e liste d’attesa lunghissime (almeno un migliaio di persone alla fine del 2009), aumentano i casi di disagio mentale dovuti soprattutto ai viaggi più rischiosi, l’inserimento sociale diventa più lento e difficile a causa della crisi e del clima xenofobo.
Secondo i dati dell’ultimo rapporto Sprar, sono 7845 le persone accolte (tra richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale) nell’ultimo anno, provengono soprattutto da Somalia, Eritrea, Afghanistan e Nigeria, continuano ad arrivare soprattutto via mare (più del 67% dei beneficiari Sprar), ma anche in aereo e via terra (attraverso il nord est o passando dalla Grecia). Aumentano i casi di disagio mentale (“dovuti alle rotte sempre più travagliate – sottolinea Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale Sprar, intervistata da Diritto di Critica – ma anche a una maggiore competenza degli operatori nell’individuare le vulnerabilità”) e i titolari di protezione sussidiaria (26%). Categorie più deboli, con meno diritti: “A differenza del rifugiato – spiega Fiorella Rathaus, responsabile settore sociale Cir a Diritto di Critica – i titolari di protezione sussidiaria non hanno diritto al ricongiungimento familiare automatico, ma devono dimostrare il possesso di alcuni prerequisiti. E la vicinanza della propria famiglia è fondamentale per l’integrazione”.
I percorsi di “accompagnamento” sono troppo brevi soprattutto per i soggetti più vulnerabili (in particolare donne con bambini): così spesso viene chiesto un prolungamento dell’accoglienza e i progetti di formazione vengono rallentati. Inoltre, più di 1600 degli accolti proviene dai Cara: ciò significa che arrivano ai centri Sprar già con qualche forma di protezione e possono usufruire di un’accoglienza di sei mesi al massimo, senza possibilità di prolungamento (a differenza dei richiedenti asilo). Per questo “necessitano – spiega Daniela Di Capua – di percorsi individuali più rapidi e ancora più orientati all’integrazione”.
Obiettivo dello Sprar, un’accoglienza “integrata”, finalizzata al raggiungimento dell’autonomia, resa ancora più difficile dalla crisi economica: “Gli stessi rifugiati di lunga data – spiega Daniela Di Capua – tornano a chiedere aiuto, perché hanno perso il lavoro o la casa”.
Ecco che allora alla conclusione del percorso non sempre corrisponde una capacità di inserimento nel tessuto sociale. “Manca un monitoraggio successivo all’accoglienza – sottolinea Daniela Di Capua -. Ciò che facilita questo percorso sono le reti locali che comprendono altri soggetti, come aziende o provincia. Ci sono alcuni tentativi importanti, come in Emilia Romagna o nella provincia di Torino”. Un’integrazione ostacolata anche dalla “chiusura razzista – aggiunge Fiorella Rathaus -, dovuta all’equazione immigrazione e sicurezza, che viene percepita dagli stessi rifugiati”.