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Diritto di critica | April 16, 2024

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Globalizzazione, neanche la Cina affamata si salva - Diritto di critica

Globalizzazione, neanche la Cina affamata si salva

Pechino rifiuta la condanna del Wto: “il nostro protezionismo è legittimo“. Ma dietro la facciata dello sviluppo, la Cina ha paura del commercio globale. L‘import di lusso sottrae ricchezza al Paese, mentre esplode l’inflazione dei beni alimentari e cresce il divario tra ricchi e poveri: 180mila manifestazioni di piazza nel 2011 per protestare contro il caro vita.

La macchina economica cinese non è perfetta come sembra. Il vertiginoso ritmo di crescita del suo Pil (a 2 cifre da almeno 10 anni) non salva il Paese orientale dal fantasma dell’inflazione: il potere d’acquisto è sceso a maggio di oltre l’11%, dopo le performance negative di marzo e aprile 5 e 7%). Ne è simbolo eclatante il boom del costo della carne di maiale, elemento essenziale della cucina cinese, che a maggio ha fatto registrare un aumento record: oltre il 70% in più rispetto ad un anno fa. Non va meglio per il riso, prodotto indispensabile, eppure importato a costi salati e in quantità crescenti per rispondere al boom della domanda. Il cibo costa sempre di più nel paese più popolato del mondo (per ora).

I cinesi non restano a guardare. In un anno di fuoco per le relazioni sindacali, si sono registrate oltre 180mila manifestazioni di piazza contro il caro vita. Il Governo tenta di rimediare imponendo un calmiere ai prezzi, ma il mercato “semiufficiale” già viaggia oltre i tetti fissati dalle autorità. E a farne le spese è soprattutto la classe media, quasi del tutto sparita.

I guai culinari del popolino stridono con l’agiatezza dei ricchi. Il Governo di Pechino ha deciso di abbassare le tasse sui beni di lusso: l’intenzione è trattenere in patria il fiume di denaro che l’upper class cinese investe in capi griffati, auto di lusso e gioielli, rigorosamente importati. L’import galoppa, in Cina, tanto da registrare in febbraio un ritmo di crescita maggiore delle esportazioni. E’ il segnale che qualcosa sta cambiando, a Oriente: la “fabbrica per il mondo” si sta trasformando in consumatore d’eccezione.

Il cambiamento, però, va controllato: per questo il Partito Cinese ha rifiutato la condanna del World Trade Organization, che su ricorso di Usa, Europa e Messico aveva denunciato le pratiche protezioniste di Pechino. Il commento del Ministero del Commercio cinese è impeccabile: “anche se le misure hanno qualche influenza sui consumatori locali e stranieri, sono in linea con l’obiettivo del Wto di promuovere lo sviluppo sostenibile”. E rivendica la legittimità dei dazi su bauxite, magnesio, silicio, fosforo giallo e zinco: materie prime dei prodotti tecnologici, ma anche di beni di uso quotidiano.

La Cina ha sempre più paura del mercato globale e chiude le frontiere: ma dentro i propri confini, l’economia sta sovvertendo gli equilibri sociali. Il “secolo cinese” si preannuncia affamato.