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Diritto di critica | March 28, 2024

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Lettera d'intenti all'Europa, ma la situazione interna al governo non cambia - Diritto di critica

Lettera d’intenti all’Europa, ma la situazione interna al governo non cambia

Scritto per noi da Virgilio Bartolucci

L’ANALISI – La lettera di intenti che ieri Silvio Berlusconi ha portato a Bruxelles, al vertice dei capi di Stato e di governo,  è stata accolta positivamente. Lo conferma Donald Tusk, presidente di turno polacco. L’Europa da l’ok e sprona l’Italia a calendarizzare in fretta e a mettere in atto le riforme. Il giudizio positivo permette all’Italia di tirare un sospiro di sollievo e a Silvio Berlusconi, grazie ad una serie di riforme tra cui spiccano pensioni e licenziamenti, di evitare una bocciatura continentale. 

Nelle conclusioni dell’Eurogruppo si legge “Apprezziamo l’impegno dell’Italia a raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2013 e un surplus di bilancio strutturale nel 2014, portando ad una riduzione dell’indebitamento pubblico al 113% del PIL nel 2014, così come – si legge ancora nelle conclusioni – la prevista introduzione della regola del pareggio di bilancio nella Costituzione entro la metà del 2012”. 

I capi di Stato e i massimi vertici della Ue invitano “l’Italia a attuare le proposte riforme strutturali per aumentare la competitività, riducendo i vincoli burocratici, abolendo le tariffe minime nei servizi professionali e liberalizzando ulteriormente i servizi pubblici e le utilities”. 

Mentre per quanto riguarda il lavoro, vero nocciolo della lettera, le conclusioni non hanno dubbi: “Prendiamo nota – proseguono – dell’impegno dell’Italia a riformare la legislazione del lavoro e in particolare le regole e le procedure dei licenziamenti e a rivedere l’attuale frammentato sistema di ammortizzatori sociali entro la fine del 2011, tenendo conto dei limiti delle finanze pubbliche. Prendiamo nota del piano di innalzare l’età pensionabile a 67 anni entro il 2026 e raccomandiamo una rapida definizione dell’iter per raggiungere questo obiettivo”. Demandata alla Commissione europea la funzione di controllo: “invitiamo la Commissione a presentare una valutazione dettagliata delle misure e a monitorarne l’attuazione”.

L’esito della trattativa viene confermata dal premier, in diretta televisiva su Rai Uno, in una telefonata a Bruno Vespa: “Abbiamo il benestare di tutti”, afferma il presidente del Consiglio, che cita il paragrafo dedicato all’italia e inserito nel documento finale, in cui la Ue esprime il proprio apprezzamento ed invita il nostro Paese a passare in modo spedito il al secondo step: il calendario dettagliato delle riforme presentate. 

La valutazione ultra-positiva che la maggioranza di centrodestra cerca di accreditare, però, sembra caricata di un entusiasmo dal retrogusto vagamente propagandistico. Certo, va dato merito a questo governo di lottare come pochi per la sua sopravvivenza politica e di avere una capacità di schivare i colpi e uscire dalle corde che pochi esecutivi possono vantare. Questa volta, però, sta legando l’avversario in un abbraccio utile a prendere fiato, ma non a raddrizzare le ginocchia. 

Due sono  le considerazioni: la prima è che la lettera, che già di suo si presenta come “di intenti”, non è passata per una legittimazione né in Consiglio dei ministri, né in Parlamento. La Merkel, ad esempio, prima del vertice è passata al vaglio del Bundestag, che ha fissato dei paletti. 

La seconda considerazione, invece, investe la quantità e la  qualità dei provvedimenti. Si tratta di una tale mole di misure che portano subito alla mente un vecchio detto: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Sul finire di una legislatura sfibrante e con la Lega che sta attraversando un’evoluzione traumatica, solo 8 mesi sembrano un tempo ridicolo per mettere a segno la sempre sbandierata modernizzazione del Paese in senso liberale. Da unirsi adesso a una buona dose di misure impopolari, per dirla con Napolitano. A cominciare dalla tempistica, su cui la Ue a trazione franco-tedesca non cederà di un millimetro, le riforme, per il governo, rischiano di essere una via crucis tanto nelle piazze quanto in Parlamento. 

L’allungamento a 67 anni per l’età pensionabile, la mobilità per la pubblica amministrazione e, soprattutto, i licenziamenti facili in caso di crisi economica per i lavoratori a tempo indeterminato – che non dovranno più essere reintegrati, ma, come assicurato dal premier, mantenuti a colpi di cassaintegrazione – creerà un clima bollente a tempo pieno, portando nuovamente in strada il mondo dei precari, la rete, i disoccupati e gli indignati. 

La misura sul licenziamento, che trova il favore della Confindustria e l’attacco dei sindacati, scatena le proteste dei ceti più deboli, legati a redditi da lavoro. Una rabbia moltiplicata in modo esponenziale dall’assenza di una tassazione sui patrimoni e sulle rendite e di una seria lotta all’evasione fiscale, che nella missiva restano lettera morta.

E se la situazione sociale del paese si annuncia esplosiva, alle Camere non è certo rosea. Nella giornata cruciale in cui la lettera viene consegnata all’Europa, a Montecitorio, il governo viene battuto due volte. A dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, di come la maggioranza ritrovi la sua coesione solo in punto di morte, quando, grazie ad un particolare do ut des politico, una sorta di fiducia a gettone, riesce ad ottenere i numeri per andare avanti. 

Visto lo stato dei fatti, è possibile immaginare una serie di ricorsi alla fiducia a ripetizione, che con cadenza quasi mensile, permettano al governo di proseguire la sua strada realizzando quasi tutto ciò che avrebbe dovuto portare a termine negli anni passati senza schiantarsi come la Grecia? Anche gli intenti del paese ellenico, inizialmente, erano stati accolti con favore in Europa e questo, sottolinea l’opposizione, è un motivo in più per non spacciare la reazione alla lettera come una vittoria. Anche in Grecia, inoltre, licenziamenti e austerity sono stati introdotti portando la tensione sociale alle stelle ma non si può dire che le cose siano migliorate. 

Un’idea che riecheggia nelle parole di Di Pietro “ancora una volta, si dimostra che chi è al governo non vuole la pace ma lo scontro sociale”. Diverso il pensiero di Bersani che sottolinea il bisogno dell’esecutivo “di prendersi in sede europea qualche giorno di ossigeno”. Ironia buonista quella di Casini, secondo cui si tratta solo di “tante buone intenzioni, il libro dei sogni. Ci sono tante cose ragionevoli che non si capisce perchè non siano state fatte negli ultimi quattro anni”. 

Tuttavia, un dubbio resta. E se davvero ci fosse un patto alla base dell’accordo raggiunto tra i due padri fondatori di Pdl e Lega per le pensioni?  Entrambi in declino, contestati da fronde infide, atterriti dall’idea di un governo tecnico che ne chiuderebbe la stagione politica, Berlusconi e Bossi  potrebbero davvero cercare di sparigliare le carte: andare ad elezioni tra sei mesi per poterle gestire col Porcellum. In maniera da decidere ancora una volta chi siederà in Parlamento, regolando i conti con i dissenzienti e gli oppositori interni. 

Ma non solo, in caso di sconfitta, dopo aver lasciato un fardello pesantissimo di misure vincolanti in eredità, picchiare sulle difficoltà indiscutibili che si apriranno nei prossimi anni a chiunque si trovi a governare e attendere comodamente un’implosione del rivale, in modo da tornare al potere. Anche da dietro le quinte, o da padri nobili, come la politica usa dire in questi casi.

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