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Diritto di critica | April 18, 2024

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Ilva di Taranto: l'inquinamento che uccide - Diritto di critica

Ilva di Taranto: l’inquinamento che uccide

A Taranto, per colpa delle emissioni impianti industriali, si muore: la connessione tra inquinamento e decessi per tumore nell’area è stata accertata dalla perizia degli esperti nominati dal gip del tribunale di Taranto Patrizia Todisco nell’ambito dell’incidente probatorio nell’inchiesta a carico dei dirigenti dello stabilimento siderurgico richiesto dal procuratore capo Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dal sostituto Mariano Buccoliero.

La perizia epidemiologica è stata redatta dal professor Annibale Biggeri, docente ordinario all’università di Firenze e direttore del centro per lo studio e la prevenzione oncologica, dalla professoressa Maria Triassi (direttore di struttura complessa dell’area funzionale di igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro ed epidemiologia applicata dell’azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli) e dal dottor Francesco Forastiere, direttore del dipartimento di Epidemiologia. I risultati emersi parlano chiaro ed evidenziano una situazione drammatica. «L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico – questa la tesi della perizia – ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte». E quindi, malattie cardiovascolari, malformazioni, malattie respiratorie, anomalie nei tumori dei bambini: sarebbero infatti 174 i decessi in sette anni riconducibili direttamente all’inquinamento prodotto dallo stabilimento.

«Nei sette anni considerati, per Taranto nel suo complesso, si stimano 83 decessi attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di Pm10 – si rileva nella perizia, di oltre 200 pagine -. Nei sette anni considerati per i quartieri Borgo e Tamburi si stimano 91 decessi attribuibili ai superamenti Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di PM10. Inoltre [… ] si stimano  193 ricoveri per malattie cardiache attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la media annuale delle concentrazioni di Pm10 e 455 ricoveri per malattie respiratorie». Stime che sono quindi particolarmente significative per quanto riguarda i quartieri citati, maggiormente interessati all’inquinamento atmosferico da parte degli impianti industriali dell’Ilva, dove «una forte associazione tra inquinamento dell’aria ed eventi sanitari è osservabile e documentabile solo per questa popolazione», mentre per quanto riguarda l’analisi per la città di Taranto nel suo insieme, esse «in generale attenuate».

L’indagine fa parte di un’inchiesta più approfondita che ha già coinvolto periti chimici e accertato la nocività delle sostante emesse dallo stabilimento siderurgico sulla salute di lavoratori e cittadini della città. Numerose e gravi le contestazioni ipotizzate a carico degli indagati nel procedimento contro l’Ilva: disastro colposo e doloso, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.

E se la perizia epidemiologica rischia ora di aggravare ulteriormente le accuse, i dirigenti delle acciaierie preferiscono prenderli con le pinze: in una nota il responsabile Qualità e Ambiente dello stabilimento Ilva di Taranto, Adolfo Buffo, sottolinea infatti come sia necessario  usare il massimo rispetto nella discussione su dati relativi alla salute, anche se «la stessa perizia fa riferimento a numeri, stime, statistiche e su queste siamo tutti chiamati a confrontarci parlando anche con un linguaggio tecnico, magari incomprensibile ai più, di incertezze e livelli di probabilità. E, drammaticamente, queste probabilità possono portare a conclusioni molto diverse tra loro e di questo si deve tenere conto prima di emettere facili giudizi». Secondo Buffo, infatti, «non è emerso un eccesso di mortalità per tumori per le persone che hanno lavorato nello stabilimento che, però, sono stati i più esposti. Non sono stati considerati i fattori di rischio individuali. Fotografare il passato è diverso che fotografare il presente. Credo – ha concluso Buffo – che sia ambizione di tutti comprendere in profondità questa perizia senza cadere in facili sensazionalismi o in improprie minimizzazioni».

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