Di Pietro lancia il referendum sui rimborsi elettorali. Ma dimentica quelli referendari - Diritto di critica
“Giovedì mattina l’Italia dei Valori depositerà in Cassazione il quesito per il referendum che chiede di abolire i rimborsi elettorali ai partiti, cioè il finanziamento pubblico mascherato con cui le forze politiche hanno aggirato l’esito del referendum del 1993”. Ad annunciarlo sul suo blog è il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, affermando che “sono questi i settori da colpire, non l’articolo 18 e i diritti dei lavoratori […]. L’origine del morbo – prosegue – è lo strapotere dei partiti che hanno occupato lo Stato non per servire i cittadini ma per servirsi dei cittadini”.
L’inchiesta sulla Lega Nord e le dimissioni di Belsito sono una boccata d’ossigeno – in chiave elettorale – per il partito di Antonio Di Pietro, da troppo tempo costretto in un’opposizione al governo Monti ormai priva di argomenti. Con la questione della corruzione e del finanziamento pubblico ai partiti, l’IdV può convolare a nozze: subito un referendum e una rosa di argomenti (in facsimile grillino) da riproporre in campagna elettorale per tornare a ottenere la visibilità ormai perduta.
Ma se l’Italia dei Valori si scaglia contro i rimborsi elettorali ai partiti, nulla dice sui rimborsi referendari dovuti a chi raccoglie le firme, in questo caso proprio la formazione guidata da Antonio Di Pietro. La legge, infatti, recita: “È attribuito ai comitati promotori un rimborso pari alla somma risultante dalla moltiplicazione di lire mille per ogni firma valida (…) fino ad un limite massimo pari complessivamente a lire 5 miliardi annue, a condizione che la consultazione referendaria abbia raggiunto il quorum di validità di partecipazione al voto”. E’ sufficiente adattare il tutto all’euro e il conto è presto fatto: un referendum sul “finanziamento pubblico ai partiti”, dunque, fa sempre comodo.