Un embargo spacca la Libia - Diritto di critica
Gheddafi o no, la Libia è ancora una polveriera. L’Assemblea Costituente deciderà le sorti di un Paese spaccato, diviso tra la Tripolitania e l’est – la neo proclamata Repubblica Autonoma di Cirenaica. Ora Bengasi minaccia di chiudere le frontiere alle merci se non le verranno concessi 60 seggi su 200 all’Assemblea, per potersi pronunciare sulla futura Costituzione: da Tripoli nessuna distensione.
Il primo passo, il 6 marzo 2012, è stato la dichiarazione d’indipendenza della Cirenaica. Alcuni comandanti delle truppe anti-Gheddafi si sono uniti ai leader tribali della zona per proclamare, in una cerimonia ufficiale, l’autonomia di Bengasi dal resto della Libia. Un vero mini-Stato dotato di un proprio esercito e di un congresso regionale. Ora in Libia ci sono due eserciti e due governi, ognuno a sostegno di una fazione.
La spaccatura si accentua ora, ad un passo dalle elezioni per l’Assemblea Costituente. Tripoli ha preso atto della dichiarazione d’indipendenza della Cirenaica e non ha previsto seggi per l’est: Bengasi, da parte sua, vuol comunque 60 seggi sui 200 dell’intera assemblea (un peso relativo del 30%), pretendendo quindi di dire la sua sulla Carta Costituzionale della Nuova Libia.
Lo scontro, per il momento, assume i contorni dell’embargo. Le merci provenienti dalla Tripolitania non potranno superare il “confine” fissato sul “Fiume Rosso”, fino all’ottenimento dei seggi. Il passo successivo, affermano a Bengasi, sarà la chiusura totale della frontiera, con il blocco di “qualsiasi veicolo o persona” tra le due regioni. La minaccia è solo relativamente credibile, dal momento che Bengasi non dispone di uomini e mezzi a sufficienza per garantire l’embargo: ma un’infiltrazione potrebbe costituire atto di guerra e riprecipitare la Libia nell’incubo della guerra civile.
Le imprese straniere attendono con ansia un alleggerimento della tensione, e fanno pressione su Tripoli (proprio come si aspetta Bengasi). Mentre i Paesi Nato si lavano le mani della questione, assolutamente refrattari a farsi coinvolgere in altre dispendiose “avventure africane”, i rappresentanti di colossi aziendali europei scalpitano. C’è un lago d’oro nero sotto i piedi dei libici, oltre alle commesse per la ricostruzione e le infrastrutture, e qualsiasi embargo ostacola il commercio. Anche per i 40 agenti di imprese italiane che cercano di conquistare pezzi di Libia prima dei colleghi francesi e inglesi.
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