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Diritto di critica | April 19, 2024

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Ilva, arriva il primo ''omicidio volontario''

Una battaglia ideologica, così rischiava di essere considerato il sequestro dell’Ilva da parte dei giudici di Taranto. Carte, studi medici, indagini non bastano, sono concetti astratti: invece le proteste degli operai contro il sequestro dell’acciaieria pesano molto di più.  Invece ieri è arrivata la prima denuncia per omicidio volontario; l’ha depositata una professoressa, figlia di un giardiniere morto di tumore nel 2006. Il primo nome ufficiale (da confermare) nella lista delle vittime dell’Ilva.

Si chiamava Francesco Ressa, lavorava come dipendente comunale al vivaio della contrada Taranto Croce: mansione, giardiniere. Per trent’anni ha tagliato siepi e coltivato piante nell’area di caduta delle polveri sottili dell’acciaieria, vicino all’ex Ospedale Testa. Gli hanno diagnosticato un melanoma all’Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma, ad aprile 2006: a fine luglio la morte, inesorabile. La figlia Maria Rosaria, professoressa, vuole giustizia: il nesso di causalità tra polveri sottili e decesso è forte, supportato da diversi studi. In primis, l’indagine epidemiologica disposta dal Gip di Taranto, che coinvolge proprio l’area dell’ex Ospedale Testa.

Anche i dati sui ricoveri ospedalieri per patologie oncologiche della Asl di Taranto rafforzano la tesi d’accusa: nel primo semestre 2012, i casi di ricovero sono aumentati del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non solo. Sempre in merito alle patologie tumorali, si registra un’impennata del 60% per i day hospital e una crescita del 40% di visite in ambulatorio; una situazione di gran lunga anomala, che non trova riscontri in altri centri d’Italia.

Maria Rosaria contesta ai dirigenti dell’Ilva il reato di omicidio volontario con dolo eventuale: la stessa fattispecie contestata nel caso Thyssenkrupp, in seguito alla morte di sette operai nello stabilimento torinese nel 2007. Il presupposto è che “la direzione dell’acciaieria abbia coscientemente risparmiato sulla sicurezza degli impianti per oltre vent’anni, omettendo di apprestare o predisporre dispositivi tali da contenere entro i limiti previsti l’emissione di gas, polveri, fumi ed esalazioni. I vertici dell’Ilva hanno quindi accettato il rischio che l’attività esercitata avrebbe potuto cagionare la morte tanto dei lavoratori che dell’intera collettività”.

A sottolineare il basso livello di sicurezza dell’azienda, l’incidente di ieri: l’operaio 34enne Giovanni Raho è rimasto ustionato dall’esplosione delle scorie incandescenti di un contenitore, denominato “paiola”, all’interno del reparto Grf (Gestione recupero ferro). E’ uno dei reparti sottoposti a sequestro dalla magistratura. Per fortuna, le ferite non sono gravi: i medici parlano di 8 giorni di prognosi.

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