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Diritto di critica | March 28, 2024

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In scena la realtà del supercarcere dell'Asinara

di Jessica Leti

Dal 2004 Andrea Cosentino racconta, nel suo spettacolo teatrale L’asino albino, in modo divertente e delicato, la situazione che vivevano i detenuti nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara (chiuso nel 1998).

La straordinarietà di questo spettacolo è il punto di vista: i personaggi che partecipano alla narrazione non sono i detenuti ma sono i visitatori dell’ex carcere dall’Asinara. Questa scelta apre una finestra sul modo comune, purtroppo, di pensare la vita in carcere e la giustezza della pena.

La realtà carceraria è molto spesso una realtà isolata ed è difficile, per i detenuti, riuscire a comunicare con l’esterno, questo fa si che le notizie, che la comunità civile riceve dalle carceri, siano filtrate da chi le racconta e quasi mai arrivino in modo diretto . In questo modo il carcere diventa una dimensione di non vita, una pausa nell’esistenza di qualcuno, una sospensione dal proprio stato di essere umano.

La Corte europea dei diritti dell’uomo si è di nuovo pronunciata ( questa volta con una condanna ), per chi ancora non se ne fosse accorto, in merito al  diritto alla dignità dei detenuti, però, i non detenuti, i liberi, cosa ne pensano? Cosentino risponde a suo modo in un misto di drammaticità e divertimento che lascia lo spettatore con l’amaro in bocca; i personaggi raccontando il loro modo di vedere le cose non fanno altro che collezionare i tanti luoghi comuni sull’argomento, proponendo per esempio la castrazione come rimedio alla pedofilia, oppure valutando che, tutto sommato, il perimetro di una cella non è troppo più piccolo di una qualsiasi camera di un appartamento cittadino.

Il gruppo dei turisti visita l’isola e il carcere come visiterebbe un qualsiasi altro luogo storico, un luogo lontano, che non appartiene a nessuno di loro e il problema è proprio questo: ad occuparsi della situazione carceraria sono principalmente coloro i quali si sentono coinvolti da questo problema per ragioni personali. Ma la violazione dei diritti umani, non riguarda solo chi ne viene privato, riguarda tutti.

Tutto lo spettacolo si svolge su una superficie abbastanza piccola, che viene delimitata da un telo color sabbia, Andrea Cosentino utilizzando degli oggetti, sparsi sulla superficie,  da vita a diversi personaggi tutti allegramente in gita sull’isola dell’Asinara. La scenografia semplicissima istaura fin dall’inizio un patto fra l’attore e gli spettatori, l’antico patto del teatro che prevede la fiducia dello spettatore, e la sua capacità di vedere le cose solo accennate dall’attore.

Fra tutti i visitatori c’è una bambina curiosa di vedere da vicino il famoso asino albino, la guida però spiega ai genitori che l’asino non è avvicinabile perché sembra vivo ma non lo è. L’asino albino è da tempo morto sotto un albero.

Al termine dello spettacolo però, mentre l’autobus dei turisti si allontana, da un’altura spuntano due orecchie bianche e si sente un verso, è l’asino albino che si lascia intravedere  per un solo istante.  Il verso che fa l’asino è simile al verso dei gabbiani che osservavano dal muro i detenuti, durante l’ora d’aria, e che Andrea Cosentino racconta all’inizio dello spettacolo, utilizzando un dialogo avuto con un ex brigatista e ex detenuto in quel carcere.

Il verso dell’asino- gabbiano rende duramente visibile l’ingenuità dei turisti, che hanno appena trascorso una giornata all’interno di un carcere senza rendersi veramente conto di cosa sia realmente, la stessa ingenuità della bambina che non saprà mai che l’asino visto sotto l’albero non era addormentato bensì morto.

Nel suo modo poetico e divertente Cosentino mostra una fotografia del pensare comune, probabilmente nella speranza che prima o poi, ci auguriamo prima, ci si svegli dal lungo sonno.

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