"Eternit come i piani diabolici dei nazisti", parte l'appello del maxiprocesso - Diritto di critica
La scelta dell’Eternit di minimizzare i danni alla salute procurati dall’amianto è paragonabile «al Piano dei nazisti per deportare in Madagascar 4 milioni di ebrei». Con queste parole di pietra è cominciato a Torino il processo d’appello sulle morti da amianto, che ha visto condannati in primo grado a 16 anni di carcere, nel febbraio 2012, i dirigenti della multinazionale svizzero-belga, Stephen Schmidheiny e Jean Louis de Cartier, per il reato di disastro ambientale doloso. A pronunciare l’azzardato paragone in aula è il giudice Alberto Oggè, che spiega come i due fatti siano «ovviamente diversi e non sovrapponibili, ma l’accostamento è servito per far capire il senso delle parole della sentenza dell’anno scorso, sulla quale ha fortemente pesato la decisione dei vertici della Eternit di tacere sulle conseguenze dell’esposizione da amianto».
Il riferimento è al cosiddetto “convegno di Neuss”, avvenuto nel 1976 in Germania tra i capi dell’azienda di materiale edilizio, durante il quale il boss Stephen Schmidheiny convinse gli altri manager a negare e ridimensionare l’effettiva pericolosità delle fibre di amianto, per evitare alla Eternit contraccolpi di ordine economico. «Così come il Piano Madagascar venne apprezzato dai nazisti per distogliere l’attenzione sulle reali intenzioni di Hitler nei confronti degli ebrei», 37 anni fa Schmidheiny e Cartier nascosero al mondo quello che diventò a breve un disastro ambientale di proporzioni immani. Al Palazzo di Giustizia torinese sì dovrà decidere anche sui risarcimenti di circa cento milioni di euro che i due imputati, secondo la sentenza, devono alle migliaia di parti civili e ai familiari delle oltre duemila vittime.
E così mentre la politica nazionale è concentrata su promesse e smentite continue in vista delle prossime elezioni, si riapre quasi in sordina, in un’aula di tribunale, una ferita profonda per il nostro Paese, la vicenda di quelle fabbriche sparse in mezza Italia che producevano il composto fibro-cementizio e per decenni hanno minato la salute dei lavoratori e di chi abitava nei dintorni. Piemonte, Lombardia, Friuli, Puglia, Sicilia: fino agli ultimi anni Ottanta gli stabilimenti hanno funzionato a pieno regime, sebbene si sapesse fin dal 1962 quanto l’amianto sia un nemico silenzioso ed implacabile per il nostro organismo. A Casale Monferrato (Al), in particolare, migliaia i casi di decessi per tumore ai polmoni provocato dalla polveri, e vista la lunga incubazione della malattia (30 anni), le persone continuano ad ammalarsi. Solo in quest’ultima città nel biennio 2009-2011 128 nuovi casi di mesotelioma riconducibili all’amianto, che la fabbrica Eternit disperdeva tranquillamente nell’aria grazie ai potenti aeratori di cui era dotata. Il sindaco di Casale, Giorgio Demezzi, aspetta ancora i 25 milioni di euro di risarcimento decisi dalla sentenza di primo grado: «Costringere gli interessati a pagare richiede un iter complicato e costoso». Mentre la causa di appello è solo all’inizio, la Regione Piemonte ha invitato la Guardia di Finanza a valutare la situazione della holding Eternit per individuare dove reperire il denaro.
Amianto è una parola che oggi incute cupi presagi solo a pronunciarla, e che non spinge però le amministrazioni e la politica nazionale ad occuparsene in maniera risoluta e definitiva. Sebbene fuori legge dai primi anni Novanta, le fibre di Eternit, apprezzate all’inizio per la loro resistenza (il nome deriva dal latino aeternitas, eternità, macabra ironia della sorte) sono state utilizzate per decenni nell’edilizia, nella costruzione di tubature e parti di aerei, treni, navi, e in vari oggetti di uso quotidiano come vasi, sedie a sdraio, tettoie. Molti dei quali, purtroppo, ci circondano ancora.
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