Malagrotta chiude, i rifiuti romani spediti al Nord
Un Comune ad un passo dal Commissariamento non potrebbe permettersi spese inutilmente esorbitanti. Eppure il Campidoglio lo sta facendo, per gestire una questione rifiuti tutt’ora irrisolta. Malagrotta chiude finalmente i battenti, ma l’alternativa di Falcognana (Ardeatina) è blindata: i manifestanti promettono una “muraglia umana” per fermare i camion, il ministro Orlando non ha ancora dato il via libera e il sito (secondo il Comune) sarà pronto a dicembre. Che fare allora? I rifiuti verranno spediti al Nord, in discariche già funzionanti. Al costo di 30 milioni di euro l’anno.
Lunedì 30 settembre è l’ultimo giorno di vita di Malagrotta. Dopo 35 anni, chiude la discarica più grande d’Europa (con i suoi 240 ettari di superficie), dopo aver accolto una media di 4000 tonnellate di rifiuti ogni giorno, per la maggior parte non trattati. La direttiva europea del 2007 sull’Ambiente, recepita dall’Italia ma ignorata a Roma, imponeva un effettivo trattamento per i rifiuti (il TmB), in modo da renderne più efficace lo stoccaggio e il recupero: l’imprenditore Manlio Cerroni, proprietario della discarica, la TmB non l’ha mai attrezzata. Così, dal 2007 la discarica è divenuta fuorilegge, e ne è stata decisa la chiusura.
Zero alternative in 7 anni. Peccato che Malagrotta non poteva chiudere. Gli altri siti (Guidonia, Albano e Bracciano) sono irrilevanti in termini di rifiuti stoccati: la differenziata non è decollata (nè con la Giunta Veltroni, nè con Alemanno), altri inceneritori non sono stati costruiti. Le proroghe sono arrivate a pioggia: dal 2007 al 2008, poi dal 2008 al 2010, poi di anno in anno fino ad aprile 2013. Ogni volta che si avvicinava la scadenza, il territorio assegnato alla discarica ormai satura veniva allargato ex lege (con gli espropri ordinati – nel 2011 – dal prefetto Pecoraro) e si continuava a galleggiare, senza una soluzione definitiva.
La Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per la violazione della direttiva comunitaria: al momento, la Corte Europea sta valutando la nostra condanna. E anche se la prima condanna non basta a causare sanzioni pecuniarie (ne servono almeno due), la vergogna è grande.
Per tutta l’estate la Giunta Marino ha tentato di imporre l’alternativa Falcognana, effettivamente attraente: una discarica già attiva dal 2006, utilizzata per smaltire i rifiuti degli sfasciacarrozze romani, di cubatura limitata ma pronta all’uso. L’opposizione della popolazione ardeatina è giusta, perché su di loro si andrebbe a riversare un fiume di almeno 800 tonnellate al giorno di rifiuti: rifiuti che la Ecofer (al momento sotto indagine da parte del prefetto Pecoraro per verificarne l’adeguatezza anti-mafia) non avrebbe gli strumenti per trattare adeguatamente. Ma è anche vero che si tratta di una buona soluzione intermedia, se davvero funzionerà (come assicurano Comune e Regione) per un paio d’anni al massimo. All’alba di martedì 1 ottobre, una “muraglia umana” bloccherà l’accesso al sito per i camion di rifiuti, che peraltro devono ancora essere autorizzati dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando. Senza contare che Regione e Comune danno due date possibili di attivazione discordanti: per la Pisana si può iniziare subito, per il Campidoglio resta tutto fermo fino a dicembre.
Rifiuti verso nord. Insomma, l’alternativa Falcognana è bloccata. Cosa fanno allora i nostri amministratori laziali? Mandano i rifiuti lontano dagli occhi e lontano dal cuore. A Nord, in Piemonte e in Emilia Romagna, dove due aziende hanno vinto una gara d’appalto “a chiamata” (10 aziende interpellate, 2 vincitrici del bando). I camion romani, 30 al giorno si dice, partiranno verso Nord per scaricare le quasi mille tonnellate di rifiuti gestite dall’Ama. Gli altri rifiuti non si sa che fine faranno. Il costo di quella che è la Nemesi di ogni progettazione “a Km zero” è esorbitante: 30 milioni di euro l’anno. Milioni che un Comune in pre-commissariamento (o almeno ad un passo, a quanto pare) non si potrebbe permettere. Chi pagherà?