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Diritto di critica | December 7, 2024

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"I corpi galleggiavano in mare". La strage e l'ipocrisia - Diritto di critica

Naufragio Lampedusa: 62 corpi recuperati“I corpi galleggiavano in mare, era impressionante. Non avevo mai visto niente del genere”, così uno degli operatori impegnati nei soccorsi a Lampedusa ha raccontato con la voce rotta a Diritto di Critica l’ultima strage del mare. Poche parole e lo sgomento per gli oltre duecento morti e i dispersi dell’ennesima ecatombe della speranza nel Mediterraneo, l’ennesima di una lunga serie che va a riempire la fossa comune che è ormai il nostro mare: oltre 25mila morti negli ultimi vent’anni, secondo le stime dell’OIM.

Per rendersi conto dell’indifferenza che ormai attanaglia l’opinione pubblica, basta chiedersi quale sarebbe stata la reazione se quelle oltre 90 vittime (e i 250 dispersi) fossero state occidentali. Probabilmente saremmo arrivati a conoscerle una per una, con i telegiornali pronti a raccontarci per giorni ogni loro storia, ogni minimo dettaglio del loro passato, della loro disperazione. I morti di Lampedusa invece raramente hanno avuto un volto, ancor meno una storia. La loro disperazione è quasi sempre generica, si sa spesso solo che vengono dall’Africa e i più maligni bofonchiano idiozie tipiche – “rubano lavoro agli italiani”. 25mila morti in vent’anni, invece, raccontano una strage centellinata di giorno in giorno. Solo nel 2013 le vittime sono state oltre 200, una persona al giorno.

Parlare di colpe, di contro, non ha senso. Ma è evidente come da un lato la politica italiana sia ormai inadeguata a rispondere a un fenomeno che non viene considerato come fatto in sé e viene trattato – spesso in chiave elettorale – come un’emergenza. Dall’altro l’Europa non riesce o non sa affiancare in modo concreto gli Stati per sostenerli nella gestione dell’immigrazione via mare: la missione Frontex, in questo senso, si rivela di anno in anno quasi ininfluente o comunque ben poco efficace.

Ad Occidente insomma, si fa la conta. Si ripescano i corpi. Nei casi più fortunati, si viene accolti in strutture precarie o rinchiusi nei Centri di Identificazioni ed Espulsione. Tutti segni dell’incapacità di affrontare in modo organico un problema che – se gestito come risorsa – potrebbe essere un’opportunità per l’Europa e l’Italia.