Referendum Catalogna, clima da guerra civile
Proclami, polizia per le strade, braccio di ferro estenuante tra Madrid e Barcellona. La vigilia surreale del voto che potrebbe sconvolgere gli equilibri dell’intera Europa
- Arianna Pescini+
- 30 Settembre 2017
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Indipendentisti in piazza con i trattori, il governo centrale che manda la Guardia Civile e chiude lo spazio aereo sopra Barcellona fino a lunedì, gli scontri ai seggi di un referendum che se avverrà (e il cui esito, ad onor del vero, non è così scontato, fonti locali parlano di indecisione e pareri discordanti) rischia di portare dietro di sé conseguenze imprevedibili. Sembra quasi di essere in Nord Africa o Medio Oriente, ma è la vicinissima Spagna, nel cuore sempre più ballerino dell’Europa.
Al di là di leggi costituzionali o regolamenti federativi, l’attesa della consultazione elettorale prevista per domenica 1 ottobre (e indetta, è sempre bene precisarlo, senza il consenso del governo centrale) ha rivelato una tensione giunta ormai al limite: la polizia giudiziaria catalana (i Mossos d’Esquadra) vigila sui seggi ufficialmente per conto di Madrid ma non ha allontanato le centinaia di persone che da ieri notte occupano scuole e centri civici per impedire alle forze dell’ordine di chiuderli. La sua posizione è quantomeno ambigua e imprevedibile; l’ordine firmato dal comandante Josep Lluis Trapero è quello di bloccare l’accesso ai seggi senza usare la violenza: «L’uso della forza, anche di fronte a una resistenza passiva – si legge in una nota interna diffusa da “La Vanguardia” – non potrà andare oltre l’accompagnamento della persona fuori dal seggio o la necessità di aprire un passaggio al quale possa accedere la polizia per mettere in atto le azioni ordinate dalla magistratura». Da parte sua, Madrid conferma che, in nome della Costituzione spagnola del 1978, «il voto non ci sarà»: pronti 10mila agenti a blindare le urne, e il sito che permetteva di votare online (E-Govern) è stato chiuso su ordine di un giudice spagnolo, dopo un’inchiesta seguita al blitz del 20 settembre nelle sedi del governo catalano.
La situazione sembra sfuggita di mano al premier Rajoy, anche perché il referendum coinvolge potenzialmente 5,3 milioni di persone, il 63 per cento dei quali ha dichiarato che andrà a votare in ogni caso. Incuranti delle minacce di arresto da parte della Procura, il Presidente catalano Carles Puigdemont e il suo vice Oriol Junqueras hanno concluso in trionfo la campagna elettorale davanti a 80mila persone, annunciando l’inizio di una nuova era: «Noi abbiamo già vinto – hanno detto – sconfiggendo le minacce, la paura, le menzogne e le intimidazioni di uno Stato autoritario, e ora tocchiamo quello che era un sogno, l’indipendenza. Domenica uscite di casa determinati a cambiare la Storia». Di fatto, comunque, il referendum è illegale: chi si recherà alle urne, come ha dichiarato l’Agenzia Statale di Protezione dei Dati, rischia multe fino a 600mila euro. Pronta la risposta del consigliere di Giustizia catalano, Carles Mundò, che ha annunciato querele per «prevaricazione, usurpazione di funzioni e contro l’esercizio dei diritti civili».
La Ue guarda con ansia e imbarazzo alla crisi spagnola, nel nome della non ingerenza, davanti ad una richiesta di indipendenza di quella che è di fatto una parte importante del popolo europeo, e che potrebbe risvegliare altre correnti indipendentiste di fatto mai scomparse. La Catalogna è il motore dell’economia spagnola (produce da sola circa il 19 per cento dell’intero Pil), una delle regioni più ricche del Paese e gode già da tempo di ampie autonomie. L’impressione è che il braccio di ferro tra la capitale e Barcellona, se non si cercherà un dialogo, sarà senza apparente soluzione. L’unica certezza, purtroppo, è proprio l’imprevedibilità: nel caos surreale di domenica, a Barcellona e negli altri centri catalani non sappiamo cosa succederà, e con quali conseguenze.
- Arianna Pescini+
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Indipendentisti in piazza con i trattori, il governo centrale che manda la Guardia Civile e chiude lo spazio aereo sopra Barcellona fino a lunedì, gli scontri ai seggi di un referendum che se avverrà (e il cui esito, ad onor del vero, non è così scontato, fonti locali parlano di indecisione e pareri discordanti) rischia di portare dietro di sé conseguenze imprevedibili. Sembra quasi di essere in Nord Africa o Medio Oriente, ma è la vicinissima Spagna, nel cuore sempre più ballerino dell’Europa.
Al di là di leggi costituzionali o regolamenti federativi, l’attesa della consultazione elettorale prevista per domenica 1 ottobre (e indetta, è sempre bene precisarlo, senza il consenso del governo centrale) ha rivelato una tensione giunta ormai al limite: la polizia giudiziaria catalana (i Mossos d’Esquadra) vigila sui seggi ufficialmente per conto di Madrid ma non ha allontanato le centinaia di persone che da ieri notte occupano scuole e centri civici per impedire alle forze dell’ordine di chiuderli. La sua posizione è quantomeno ambigua e imprevedibile; l’ordine firmato dal comandante Josep Lluis Trapero è quello di bloccare l’accesso ai seggi senza usare la violenza: «L’uso della forza, anche di fronte a una resistenza passiva – si legge in una nota interna diffusa da “La Vanguardia” – non potrà andare oltre l’accompagnamento della persona fuori dal seggio o la necessità di aprire un passaggio al quale possa accedere la polizia per mettere in atto le azioni ordinate dalla magistratura». Da parte sua, Madrid conferma che, in nome della Costituzione spagnola del 1978, «il voto non ci sarà»: pronti 10mila agenti a blindare le urne, e il sito che permetteva di votare online (E-Govern) è stato chiuso su ordine di un giudice spagnolo, dopo un’inchiesta seguita al blitz del 20 settembre nelle sedi del governo catalano.
La situazione sembra sfuggita di mano al premier Rajoy, anche perché il referendum coinvolge potenzialmente 5,3 milioni di persone, il 63 per cento dei quali ha dichiarato che andrà a votare in ogni caso. Incuranti delle minacce di arresto da parte della Procura, il Presidente catalano Carles Puigdemont e il suo vice Oriol Junqueras hanno concluso in trionfo la campagna elettorale davanti a 80mila persone, annunciando l’inizio di una nuova era: «Noi abbiamo già vinto – hanno detto – sconfiggendo le minacce, la paura, le menzogne e le intimidazioni di uno Stato autoritario, e ora tocchiamo quello che era un sogno, l’indipendenza. Domenica uscite di casa determinati a cambiare la Storia». Di fatto, comunque, il referendum è illegale: chi si recherà alle urne, come ha dichiarato l’Agenzia Statale di Protezione dei Dati, rischia multe fino a 600mila euro. Pronta la risposta del consigliere di Giustizia catalano, Carles Mundò, che ha annunciato querele per «prevaricazione, usurpazione di funzioni e contro l’esercizio dei diritti civili».
La Ue guarda con ansia e imbarazzo alla crisi spagnola, nel nome della non ingerenza, davanti ad una richiesta di indipendenza di quella che è di fatto una parte importante del popolo europeo, e che potrebbe risvegliare altre correnti indipendentiste di fatto mai scomparse. La Catalogna è il motore dell’economia spagnola (produce da sola circa il 19 per cento dell’intero Pil), una delle regioni più ricche del Paese e gode già da tempo di ampie autonomie. L’impressione è che il braccio di ferro tra la capitale e Barcellona, se non si cercherà un dialogo, sarà senza apparente soluzione. L’unica certezza, purtroppo, è proprio l’imprevedibilità: nel caos surreale di domenica, a Barcellona e negli altri centri catalani non sappiamo cosa succederà, e con quali conseguenze.
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