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Diritto di critica | November 8, 2024

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Le mani della magistratura sul consenso elettorale

tribunaledi Alessandro Conte

L’ultima inchiesta aperta a Napoli a carico di Berlusconi sulla presunta compravendita di voti offre lo spunto per una riflessione più profonda sul rapporto magistratura-politica. Dopo il terremoto in Lombardia, la decapitazione della Regione Lazio e gli scandali MpS, qual è il punto oltre il quale l’azione giudiziaria diventa onda d’urto in grado di spostare il consenso elettorale? In molti hanno paragonato il clima di oggi a quello che si respirava nel ’92, quando il “tintinnio di manette” rase al suolo un’intera classe politica. Oggi il dubbio si materializza nuovamente: fermo restando la liceità della magistratura a procedere contro quei reati che oggi, specie se commessi da certi personaggi pubblici, fanno montare la rabbia popolare, quanto questa azione giudiziaria può comunque compromettere il sistema politico cavalcando l’insofferenza delle fasce più deboli?

Il caso Lombardia. Corruzione, peculato, utilizzo “sospetto” dei rimborsi elettorali, appalti truccati. Il ciclone che ha colpito la Regione Lombardia nell’ultimo anno non ha risparmiato nessuno, da destra a sinistra. La Procura di Milano ha aperto diversi filoni di indagine a carico di assessori e consiglieri di vario colore politico: dai più noti e gossippati, Renzo Bossi e Nicole Minetti, agli intoccabili, Roberto Formigoni e Filippo Penati. Se quest’ultimo è risultato al centro del cosiddetto “Sistema Sesto”, l’indagine del giro di mazzette, finanziamenti illeciti e corruzione di cui Penati secondo i magistrati era uno dei capofila, l’ex presidente Formigoni è finito nell’occhio del ciclone per i rapporti con faccendieri come Pierangelo Daccò e per la disinvoltura con cui alcuni suoi assessori e consiglieri manovravano i denari pubblici di appalti e concessioni. Il 26 ottobre scorso è terminato il regno del Celeste durato 17anni, il Consiglio è stato sciolto dopo un bilancio di oltre 80 esponenti indagati a vario titolo.

I Toga party romani. Quasi un passaggio del testimone tra le due regioni più importanti d’Italia. Nell’autunno 2012 balzano agli onori delle cronache le spese pazze e i festini dei membri della Giunta Polverini. Franco Fiorito, ribattezzato “Er batman”, il 12 settembre viene iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di peculato. Pochi giorni dopo la Corte dei Conti quantifica in 21 milioni la cifra che i dodici partiti laziali presentatisi alle elezioni del 28 e 29 marzo 2010 si sono spartiti, notizia che spinta dal clamore mediatico e dal malcontento popolare spingerà la stessa presidente Polverini a rassegnare le dimissioni e “mandare tutti a casa”. Di questa esperienza restano le immagini del toga party organizzato dal vice capo-gruppo Pdl alla regione Lazio, Carlo de Romanis, con gli invitati mascherati da maiali, le ancelle e la dissoluzione della dignità politica della classe dirigente laziale.

La bomba MpS. L’affaire Monte dei Paschi scoppia in piena campagna elettorale, nonostante le notizie fossero vecchie di tre mesi e affonda le radici nell’acquisizione di Banca Antonveneta dagli spagnoli di Santander nel 2007, per arrivare ai giorni nostri con le indagini a carico di Giuseppe Mussari dopo diversi anni di finanza “allegra” e titoli tossici sottoscritti quando l’ex presidente dell’Abi era il numero uno di MpS. L’acquisto di Antonveneta al prezzo gonfiato di 10 miliardi a fronte di un valore reale molto inferiore ha fatto da apripista ai rapporti tra la banca e la FondazioneMpS che deteneva la maggioranza delle azioni dell’Istituto senese. In particolare i riflettori sono stati puntati sulle poltrone della Fondazione, di nomina politica, e spartite secondo i criteri di rappresentanza tra i vari partiti: Pds prima e Ds poi erano le formazioni che detenevano la maggioranza dei posti, il resto dei quali venivano lasciati alle forze di minoranza, compresa Forza Italia.

Il peso della magistratura. Notizia di questi giorni, infine, è l’indagine aperta dalla Procura di Napoli a carico di Silvio Berlusconi per corruzione e finanziamento illecito ai partiti. L’accusa è di aver versato tre milioni a Sergio De Gregorio in relazione al passaggio dell’ex senatore dell’Italia dei Valori al Pdl. L’accordo, stando a quanto dichiara De Gregorio, risale al 2006, quando il senatore sosteneva il governo Prodi. A distanza di sei anni, e all’indomani di un voto che ha spaccato l’Italia in due in un momento storico delicato, la domanda che molti si pongono è quale peso possa avere questa nuova indagine, da assommare all’annus horribilis trascorso, sull’orientamento del voto degli italiani. Il fronte comune che ha compattato Ingroia, De Magistris e Di Pietro, ha forse rappresentato la volontà di dare slancio politico a Magistratura Democratica, la corrente di sinistra all’interno della magistratura nata nel 1964. E il successo di Grillo, sull’onda dell’insofferenza verso l’intera classe politica messa alla gogna da inchieste giudiziarie bipartisan, ha diverse analogie con la stagione di Tangentopoli, quando l’azione giudiziaria legittimò il desiderio del popolo di fare piazza pulita dell’allora classe dirigente. Il dubbio che emerge, in questo particolare momento storico, è se l’effetto non sia quello di legittimare un colpo di spugna sulla classe politica italiana fomentando il malcontento popolare e l’anti-castismo radicale.

Twitter: @aleconte84