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Diritto di critica | April 25, 2024

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Satira: Mr. B. rientrando a casa.... - Diritto di critica

Satira: Mr. B. rientrando a casa….

Scritto per noi da Virginia Invernizzi

Erano le 23:15 quando un esausto Presidente del Consiglio salutò l’autista e lasciatasi la scorta alle spalle, si avviò a passo lento verso la porta del suo Palazzo. Non era stata una bella giornata quel nove novembre 2010. E lui era un vincente: odiava le brutte giornate. Soprattutto aveva l’impressione di non capire più quell’opinione pubblica fino ad un mese prima in visibilio per lui e che ora si rivelava infida. La gente, suo alleato naturale, ora dubitava delle sue parole. Le telecamere a cui aveva sempre generosamente regalato il suo sorriso – in primo piano comunque, che fosse soddisfatto o insanguinato – ora lo riprendevano da dietro e trasmettevano ininterrottamente in rete le sue uscite, le sue barzellette che senza il suo sorriso però smettevano di essere simpatiche e risultavano triviali. «Mi passerà – si disse – ero così anche dopo il caso delle escort, anche dopo che mia moglie m’aveva lasciato, anche quando un mafioso pentito aveva cominciato a svelare le trame segrete dietro la nascita del mio partito, ma poi bastò una festa, uno svago: tutto era passato. Succederà di nuovo così». Non appena ebbe terminato quel pensiero, sentì la pelle del viso tendersi attorno a un sorriso teso che di nuovo gli si disegnava in volto quando… «Ma cribbio, cos’è ‘sta cosa, chi ha permesso a questo individuo di star qui davanti alla mia porta di casa? Dappertutto ‘sti comunisti, dappertutto me li trovo!».

«Va bene tutto, ma comunista no. Sono io», disse una voce. «Io chi?” ribatté il Presidente. «Il suo capogruppo alla Camera…Avrei una cosa da dirle, Presidente, e visto che non mi facevano entrare ho aspettato fuori. Entriamo?». «Si, ma fa in fretta però, sono stanco. Hai visto oggi a Vicenza? Una giornataccia, ‘sti comunisti…».

«Ma no, Presidente! Il Veneto lo domina la Lega eh, lì non toccano palla, vinciamo sempre noi! Se il centrosinistra rialza la testa diciamo ‘A mare gli immigrati’ e rastrelliamo subito 300mila voti! Poi adesso andrete lì lei e Bossi,vedrete, un successone!».

«Ma ci sono andato oggi!»

«Certo, le vogliono bene!»

«Eri qua per dirmi questo?». «No, è che sono contento che oggi si sia divertito perché alla Camera c’è stato un piccolo problema…»

«Alla Camera! Il caso Ruby si discuteva alla Camera?! Ma mi avevate detto che era al Senato… cribbio … l’asse Fini-Franceschini mi ha demolito Maroni? L’hanno fatto parlare? Ha detto che io ho fatto il nome di Mubarak? Ma com’è che se non le gestisco io queste cose va tutto a puttane? L’avevo detto che non dovevo lasciare Roma oggi…».

«No, Presidente, cioè Maroni ha detto che lei ha fatto il nome di Mubarak, ma la discussione su Ruby era al Senato..».
«Calma, quindi vuol dire che quella iena di Fini e quel mezzo prete cattocomunista di Franceschini non l’hanno sentito di persona…?»

«No, ma alla Camera c’è stato un altro problema».

«Ma no, ti sbagli, alla Camera faccio fare solo discussioni fuffa come quella sul trattato Italia-Libia… non può succedere niente!»

«Presidente, sul trattato Italia-Libia è passato un loro emendamento»

«Loro di chi?»

«Radicali del Pd»

«Eravate di nuovo tutti al bar? Ma come è potuto succedere? Va beh, se eravate fuori tecnicamente il Governo non è andato sotto…»

«Eravamo tutti dentro Presidente, e dopo che è passato l’emendamento, abbiamo ritirato la mozione, ma i finiani l’hanno fatta loro ed hanno ricominciato, allora abbiamo chiamato tutti: ministri, sottosegretari, tutti per rafforzare il Governo, ma siamo andati sotto lo stesso … e poi è passato anche quell’emendamento dell’Udc…»
«Quindi non siete andati sotto una volta sola ?»

«No , Presidente, siamo andati sotto tre volte, su due emendamenti diversi. Franceschini alla fine aveva un sorriso che ti bruciavano gli occhi a guardarlo… Questo vuol dire che lei deve andare a dire a Gheddafi che deve rispettare i diritti umani, che non può tenere fuori l’Onu e deve ripigliarsi quella comunista della Boldrini, se passa anche al Senato…»

«Cazzo»
«Eh sì, è un problema»

«Ma voi cos’avete fatto?» «Abbiamo chiesto ai finiani di votare con noi, ma loro niente…»
Neanche insultare il capogruppo riuscì a placare i suoi nervi, quando lo sbatté fuori dal Palazzo si sentì più solo di prima, nessuno dei suoi piani geniali funzionava più… Andò a letto. Invidiava quell’arabo di Gheddafi, sognò cannoneggiamenti su navi di clandestini, poi il Veneto allagato ma erano lui e la sua maggioranza a stare affondando, ogni colpo di cannone, una sbarra alla sua cella, un passato che non voleva passare, con le conseguenze che aveva causato. Le barche affondavano, barche cariche di clandestini, ma loro morivano per cercare un futuro, lui stava sfuggendo al suo passato, un sogno, una prospettiva, dal ’94 non l’aveva più. Il 9 Novembre 1989 era crollato il muro di Berlino, la fine di quei maledetti comunisti. Ghignò fra sé. Ma il suo sorriso era ormai ridotto a una feritoia di odio e insoddisfazione, una crepa in un muro che stava perdendo pezzi, in quel 9 Novembre di 21 anni dopo.