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Diritto di critica | April 26, 2024

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L’ultima notte al Chelsea Hotel - Diritto di critica

L’ultima notte al Chelsea Hotel

Scritto per noi da Cornelia van de Kamp 

Più di quaranta metri d’altezza di onde e rientranze, volte, colonne e pinnacoli: potrebbe essere una chiesa se non avesse un’insegna al neon alta due piani, oppure una nave da crociera se non fosse che non si è mai mosso da qui da più di cento anni.  È il Chelsea Hotel di New York, signore e signori. O, meglio, era il Chelsea Hotel. L’albergo più folle del mondo  – dodici piani di camere e suite che per decenni hanno dato rifugio ad artisti e scrittori squattrinati – ha chiuso i battenti poche settimane fa, in un’afosa notte d’estate. Venduto per 80 milioni di dollari. “Sarà un palazzo di appartamenti di lusso”, ha spiegato Gene Kaufman, l’architetto che seguirà i lavori.

Peccato. C’è chi giura che parte dell’allure del Chelsea Hotel fosse proprio nelle sue pareti screpolate e un po’ ingrigite dal fumo, con i vecchi cavi elettrici a vista. E soprattutto in quella hall, con ogni centimetro quadro ricoperto di dipinti e collage: un incrocio perfetto tra il salotto della nonna e le allucinazioni di un eroinomane. Alle pareti del Chelsea Hotel c’è sempre stata una collezione di quadri di tutto rispetto: per la maggior parte, dono degli ospiti-artisti che non potevano permettersi di saldare il conto. E se a questo punto sentite un piccolo, meraviglioso brivido proprio al centro delle scapole, quel genere di fremito che solamente gli intenditori sanno distinguere da una banale infreddatura, questo è il segnale che siete pronti per entrare al Chelsea Hotel.

Non date alcuna importanza al foglietto bianco appiccicato sulla porta che avverte che l’hotel è temporaneamente chiuso. Serve a ingannare gli uomini di poca immaginazione. L’ingresso al Chelsea Hotel è sempre stato libero per i liberi di spirito. E stasera c’è un grande party. C’è musica e il salone è illuminato. Sad-eyed lady in the Lowlands di Bob Dylan; Chelsea Hotel N° 2 di Leonard Cohen; Chelsea morning di Joni Mitchell. Alla terza canzone, il salone è già pieno di gente che conversa, balla, beve, discute con la musica in sottofondo. No, non è per il fumo delle sigarette o per uno scherzo dei vostri occhi che vedete solo ombre intorno a voi: è proprio così, la maggior parte dei presenti è passata a miglior vita da tempo, ma un party al Chelsea Hotel non se lo perdono nemmeno da morti. Mi auguro che non abbiate pregiudizi riguardo ai defunti: personalmente, conosco morti decisamente più in forma e frequentabili dei vivi. E in ogni caso, c’è in loro qualcosa di saggio e assennato, che sollecita la confidenza: per esempio, se fosse vivo, quanti di noi avrebbero il coraggio di avvicinarsi a Arthur Miller  – la cui ombra se ne sta ora appoggiata al bancone del bar lì nell’angolo, forse pensando a Marilyn – per proporgli di bere un bicchiere? Intanto la musica zampilla sempre più effervescente: grappoli di note che vanno sotto il nome di Chelsea girls dei Velvet Undeground, Third week in the Chelsea dei Jefferson Airplane, Chelsea Hotel di Dan Bern.

Un secolo di storia del Chelsea Hotel è riunito nel salone: scrittori, girovaghi, artisti, rockstars, suicidi e assassini. Sì, ci sono proprio tutti i “long term residents” di questo luogo irreale. In ordine sparso: Dylan Thomas, che alloggiava qui, alla stanza 206, quando morì dopo essersi scolato 18 bicchieri di whisky alla White Horse Tavern giù ad Hudson Street, Mark Twain, Edgar Lee Masters, William S. Burroughs. E, per restare in campo letterario, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Jack Kerouac che qui scrisse Sulla strada, Sir Arthur C. Clarke che al Chelsea terminò la sceneggiatura di 2001: odissea nello spazio. E Stanley Kubrick, Dennis Hopper, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Andy Warhol…. Tutti, proprio tutti sono tornati indietro dalle profondità del tempo a festeggiare il Chelsea Hotel. Stanotte si beve e si balla sulle note delle canzoni scritte in queste vecchie stanze. Per tutta la notte: l’ultima notte. Proprio come sul Titanic, quando l’orchestra continua a suonare e la gente a danzare, mentre la nave va a fondo. Walk on the wild side di Lou Reed, Edie (Ciao baby) dei Cult, Like a drug I never did before di Joey Ramone, Crow di Jim Carroll Band. Con questo formidabile repertorio, nessuno si accorge di quello che sta succedendo. Poco a poco, il mastodontico edificio di dodici piani di mattoni rossi si stacca dal suolo. Salpa, come un enorme veliero, portando con sé tutta la sua baldoria e i suoi ospiti fuori dal consueto, verso il proprio folle destino. Domani, i newyorkesi troveranno soltanto un enorme spazio vuoto lì dove una volta c’era il Chelsea Hotel. E  a chi, con cinica saggezza, dice “La crisi economica non conosce sogni”, noi rispondiamo con fierezza: ti sbagli, amico, sono i sogni che non conoscono crisi.

Comments

  1. Chester

    Non c’è da sorprendersi! Ormai in tanti si adoperano a spazzare via quello che rappresenta bellezza, ricordo, richiamo. La tendenza consolidata è quella di resettare in nome del nuovo e conveniente. Teatri, vecchie sale cinematografiche, ritrovi storici, caffè, luoghi dove soffiava la brezza ristoratrice della bellezza del pensiero, delle forme armoniose.
    Cornelia dice bene! Bisogna levare la mente in volo ed impedire che tutti questi buchi, ci appiattiscano i ricordi.

  2. Rubino

    Davvero un bel pezzo che tra le vibrazioni della musica, la curisiotà del volto di scrittori famosi porta ad un finale formidabile che continua a farti sognare…!
    A presto Cornelia

  3. Jainkeff

    ♪♫ At the Chelsea Hotel,
    Where lovers and fighters are desperately dreaming
    Of checking their hearts at the door
    Never really sure, we’ve all been here before ♫♪

    Due pollici (e ben dritti)

  4. Carlo R.

    Avevo sentito la storia del Chelsea Hotel, ma non mi aveva colpito come quando ho letto questo pezzo così “onirico” e intrigante.
    Complimenti.