I finanziamenti pubblici ai giornali? Le bugie di Grillo
Togliere i soldi pubblici ai giornali. Questo è uno dei cavalli di battaglia del MoVimento 5 Stelle. “Siete collusi con il potere”, gridano i militanti sul blog di Beppe Grillo contro ai giornalisti, colpevoli, la scorsa settimana, di “aver gettato fango” contro il loro leader. “Verrà il giorno in cui vi toglieremo questi soldi e voi dovrete trovarvi un lavoro”. E grosse risate mefistofeliche. D’altronde, vista la profonda crisi dell’editoria, un (altro) lavoro molti giornalisti se lo stanno già cercando, al di là di Beppe Grillo. “E tutti quei soldi che lo Stato dà a i giornali non bastano?”. Quei soldi, in realtà, non esistono.
I contributi? Solo ai giornali di partito e cooperative. Dopo le polemiche e gli attacchi del comico genovese contro i giornali, la Fieg (Federazione italiana editori giornali) si è sentita in dovere di intervenire per spiegare quale è la reale situazione del finanziamento pubblico ai giornali. I tempi d’oro dei soldi dati a tutti sono finiti da un bel pezzo. Oggi solo i giornali editi da cooperative di giornalisti, quelli delle minoranze linguistiche e quelli di partito possono godere di qualche forma di contributo. Circa il 90% delle copie diffuse e vendute in Italia è di testate che non godono di alcun finanziamento. Per conoscere l’elenco dei giornali che ricevono contributi, è sufficiente aprire la pagina del Dipartimento per la Stampa e l’Editoria sul sito del Governo. Tra i nomi “eccellenti” spuntano quelli del Foglio di Giuliano Ferrara, Buona sera, Il Denaro, Corriere Mercantile, La Voce del Popolo, Dolomiten, L’Eco di Basilicata, Cristiano Sociali News e – dulcis in fundo – il Mucchio Selvaggio. Insomma, testate giornalistiche non esattamente in grado di influenzare l’opinione pubblica nazionale. E Repubblica, Corriere della Sera e Sole 24 Ore? Non prendono nemmeno un euro di contributi diretti.
Il Fatto prende i finanziamenti indiretti (come gli altri). Perché allora Beppe Grillo continua ad attaccare la stampa su questo punto? Non sa o fa finta di non sapere? E pensare che anche giornali “vicini” come il Fatto Quotidiano continuano a riportare sotto la testata l’indicazione che il giornale non riceve finanziamenti pubblici, nonostante anche le altre principali testate non usufruiscono dei finanziamenti diretti. Ma sia il Fatto che gli altri possono sfruttare i contributi indiretti che riguardano le agevolazioni Iva sulla carta. Da queste agevolazioni fiscali sono esenti i giornali esclusivamente online.
Soldi solo alle start-up. Il vero problema, quindi, è ragionare se oggi abbia ancora un senso che i giornali di partito possano usufruire di questi contributi e se non sia più utile ripensare tutto il sistema dei finanziamenti pubblici. Questi nascono per permettere il pluralismo delle idee anche a chi ha mezzi economici limitati. Sono finiti però per essere utilizzati per scopi ben diversi. Si tratta di ben 124 milioni di euro che oggi potrebbero essere impiegati (ad esclusione della quota parte riservata alla stampa delle minoranze linguistiche) per aiutare le testate giornalistiche in fase di start-up. Due anni di contributi per chi decide di aprire un giornale, dando priorità al no profit e in seconda battuta alle cooperative di giornalisti che abbiano, per esempio, almeno cinque giornalisti assunti a tempo indeterminato nell’organico. Dopo due anni, il giornale dovrà confrontarsi con il mercato, ma con spalle un po’ più forti.
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