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Diritto di critica | April 25, 2024

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Marchionne da Fazio: il dramma di un’Italia vista alla tv - Diritto di critica

Marchionne da Fazio: il dramma di un’Italia vista alla tv

Un’intervista dai toni pacati, fatta di domande intelligenti e di riflessioni ad alta voce. Nella televisione del chiasso e degli scontri verbali senza fine, il salotto di Fazio resta un’oasi incontaminata, uno spazio di confronto civile dove il tono di voce non supera mai il limite del consentito. Sulla celeberrima poltrona bianca qualche giorno fa si è seduto l’attuale volto della Fiat, Sergio Marchionne. Scelta discutibile quella di prestarsi al perverso gioco televisivo; ma si sa, agli attacchi dei media si risponde sempre e solo con i media.

L’affermazione incriminata arriva con la stessa pacatezza con cui l’Ad del Lingotto espone le altre questioni: “Fiat farebbe di più se potesse tagliare l’Italia”. Quasi venti minuti di conversazione ridotti ad un’espressione che suona come un tradimento, come una mancata riconoscenza, come un’offesa a quel tricolore su cui il simbolo Fiat ha da sempre campeggiato. Le reazioni si susseguono una dopo l’altra e il sereno scambio di battute diventa un caso nazionale. Marchionne l’ingrato, Marchionne il “canadese”. Dall’oasi incontaminata la questione passa, nelle ore successive, alle prime pagine dei giornali, rimbalzando nei titoli dei principali tg.

Giovanni Agnelli non c’è più ormai da tempo, eppure la Fiat resta sempre la Fiat. Quell’azienda che nei ricordi sbiaditi di un passato recente, rimane il simbolo dell’indimenticabile boom economico italiano. Un intero sistema industriale nazionale adagiato per anni sulle produzioni della grande casa automobilistica. Lo Stato ha indubbiamente fatto la sua parte, attraverso lo scambio continuativo fondi-occupazione. Nel 2004, ad un anno dalla morte dell’Avvocato, la Fiat vive il suo momento più difficile. La crisi impervia e nel 2005 si apre ufficialmente l’era di Marchionne, il metalmeccanico canadese dal doppio passaporto. Cambiano i volti, ma non il contratto con il paese, anche se, come sostiene lo stesso Ad, i soldi dallo Stato non arrivano più.

Io produco macchine, non faccio sermoni”. Marchionne non lascia spazio ai sentimentalismi e alle frasi di circostanza. Bisogna sopravvivere all’attuale situazione economica. In un contesto come quello italiano questo significa abbattere “l’anarchia” favorita da organizzazioni sindacali incapaci di aggiornare la competitività del paese, di rendere l’Italia all’altezza dei suoi concorrenti più prossimi. Per restare in piedi occorre contenere i costi di produzione: il mantenimento degli stabilimenti Fiat in Italia richiede una quantità di risorse di gran lunga maggiore rispetto a quello che accadde in altre zone del mondo, ad esempio in Brasile. La Fiat produce macchine, non fa beneficenza.

Spostare le produzioni all’estero è ormai diventata una pratica quotidiana nello scenario industriale del nostro paese. Ma la Fiat no. Il patto silenzioso ratificato con lo Stato non glielo consente. Ed è proprio quel patto, riconosciuto dallo stesso Marchionne, che impedisce al Lingotto di portare all’Italia e ai suoi lavoratori l’ultimo, mortale colpo. Il prezzo da pagare è alto: l’accettazione di un cambiamento che non ha pari. L’idea che l’operaio di oggi è ben diverso dall’operaio di ieri; che un posto fisso forse non esisterà più e che il confine tra diritti e doveri si fa sempre più labile. Il dramma sociale si consuma davanti ai nostri occhi. Le organizzazioni sindacali ideologizzate, impregnate di politica fino al midollo, diventano espressione distorta di un lavoratore che non esiste più; fermi sulle loro posizioni, i sindacati chiudono gli occhi di fronte al cambiamento. Non lo comprendono, non patteggiano per renderlo meno pesante.

Poi arrivano i media. I media che riportano, estrapolano, tagliano, mettono insieme immagini, storie, dichiarazioni. Riprendono proteste, ma non raccontano i fatti. Trascrivono virgolettati, li amplificano, li commentano, ma tralasciano ogni motivazione, ogni spiegazione, cancellando i contesti. Così ritroviamo fiumi di parole, successioni infinite di fotogrammi senza senso, incapaci di comprendere e di far comprendere. L’oasi incontaminata di Fazio si è prestata all’allegra giostra mediatica. Marchionne, la Fiat e i suoi lavoratori diventano l’ennesima storia all’italiana. E come ogni storia all’italiana che si rispetti, ciò ne che resta oggi è solo quanto detto ieri alla tv.

Comments

  1. Anna Porta

    Stamattina Giorgio Cremaschi era da Antonello Piroso, su La7 e ha smontato punto per punto le affermazioni di Marchionne.
    I fanatici del contraddittorio in Rai dove erano, quel sabato in cui si è permesso a Marchionne di infangare l'Italia e i lavoratori italiani?
    La Confindustria sta cercando di riscrivere il diritto del lavoro e lo Statuto dei lavoratori e ci sta riuscendo con la complicità di molti.

  2. marco/mugello

    Ma scusatemi tanto, Ma a chi interessa più di come vive un dipendente di un’azienda? Se uno ha soldi per mangiare o no) Il mondo dei media specialmente le tv non andranno mai a intrufolarsi in un mondo che non fa ascolto, si è mai visto in tv o sui giornali di massima diffusione di come è fatta una busta paga di un cassaintegrato? si è mai visto di come fa un precario con 600,00€ al mese a fare la spesa e a pagare le utenze minime? MAI e poi MAI si vedranno queste cose, perché l’Italia non si può permettersi di SPUTTANARSI al mondo e ai cittadini italiani che pendono dalle labbra di una lobby di parlamentari inutili a risolvere i problemi. Ci vogliono fatti non parole, forse si riuscirà ad aprire gli occhi quando qualcuno preso dalla disperazione si porterò dietro qualche datore di lavoro prima di suicidarsi perché non si ha neppure 1€ per mangiare o curarsi.