L'Italia post-mortem - Diritto di critica
EDITORIALE – Il crollo di Barletta è una di quelle vicende in cui lo Stato, i sindacati, i controlli e quanti dovrebbero assicurare ai cittadini condizioni di vita dignitose e il rispetto delle regole, sono arrivati tardi. Come un orologio svizzero, il nostro è il Paese delle lacrime postume. Della storia fatta con i se. Si piange sempre dopo, si denuncia dopo, si mette a norma dopo. Prima vengono i morti. I crolli. Le tragedie. Dopo arrivano lo Stato, i politici e tutto quel complesso sistema di attori sociali che corre a metterci la faccia per non perderla. Quantomeno davanti alle telecamere.
Le donne morte nel laboratorio al piano terra dello stabile collassato due giorni fa a Barletta guadagnavano “tra i 3,95 e i 4 euro l’ora ed erano pagate in nero, senza contratto“. La denuncia è di uno dei parenti delle vittime. Quattro euro l’ora sono due monetine laccate argento e oro con cui non compri nemmeno un pacchetto di sigarette. In una giornata di otto ore in laboratorio si guadagnavano 32 euro. “Mia nipote – raccontano i parenti – 33 anni, prendeva 3,95 euro all’ora, mia nuora quattro euro: lavoravano dalle otto alle 14 ore, a seconda del lavoro che c’era da fare. Avevano ferie e tredicesima pagate, ma senza contratto. Quelle donne lavoravano per pagare affitti, mutui, benzina, per poter vivere, anzi sopravvivere”. Dov’erano sindacati, Asl e ispettorato del lavoro?
Secondo i dati comunicati dall’Istat, nel 2010 in Italia oltre 2,5 milioni di lavoratori, tra dipendenti e autonomi, sono risultati irregolari. La cifra è composta da 2.102.200 lavoratori dipendenti irregolari e da 446.400 lavoratori autonomi irregolari. Un esercito. E per lavoro irregolare non si intende certo il nero completo ma situazioni di “grigio” in cui il lavoratore dipendente ha una parvenza di contratto ma – per esempio – percepisce una parte del compenso brevi manu, fuori busta. I fantasmi, quelli che muoiono nei laboratori come quello di Barletta o che vengono abbandonati fuori da un pronto soccorso dopo essere precipitati da un’impalcatura, il loro è un esercito ancora più silenzioso e impalpabile.
Nella civilissima Milano, ad esempio, in alcuni cantieri vige una prassi: si regolarizzano una sessantina di operai i cui nominativi vengono poi distribuiti per tutti i cantieri “affiliati”. In caso di controlli, chi lavora in nero è costretto a farsi identificare con i nomi dei regolari.
Il sistema Italia – verrebbe da dire “dell’Italia peggiore” – dunque, è quello degli annunci e dei propositi postumi. E l’elenco è lungo. Da tragedie epocali come quella del Vajont, fino ad arrivare alla scuola di San Giuliano di Puglia, al terremoto dell’Aquila, agli sfollati e alle vittime di Giampilieri. Lo Stato, i sindacati, i controlli, sono sempre arrivati a cose fatte.
Tina Ceci, 37 anni. Matilde Doronzo, 32. Giovanna Sardaro, 30 anni. Antonella Zaza, 36. Maria Cinquepalmi, 14 anni.
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