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Diritto di critica | December 9, 2024

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Napolitano sale in cattedra, la regia del governo tecnico tra responsabili e contrari - Diritto di critica

Napolitano sale in cattedra, la regia del governo tecnico tra responsabili e contrari

Scritto per noi da Virgilio Bartolucci

Ieri, mentre il famigerato spread scendeva sensibilmente dal record raggiunto e Piazza Affari risaliva dall’inferno in cui era precipitata negli ultimi giorni, il neo senatore a vita, Mario Monti, è salito al Colle su invito del Presidente per un colloquio di due ore. Dopo l’approvazione in Senato del ddl Stabilità, il governo tecnico scalda i motori e potrebbe iniziare il suo iter forse già domenica, prima della riapertura dei mercati.

Il nuovo esecutivo, intanto, spacca il Pdl. Dopo l’implosione della maggioranza, il Popolo della libertà rischia una scissione in tempi record, addirittura in anticipo sulla morte politica del suo imperatore. Il partito – diviso in due blocchi contrapposti che infaticabili pontieri cercano di tenere stretti con la speranza di una parola di Berlusconi, a questo punto forse inutile – si trova in mezzo ad un regolamento di conti che produce la richiesta di un governo tecnico puro, ossia senza il coinvolgimento attivo delle opposizioni.

Sul fronte del no si schierano Lega e Idv, la cui contrarietà, al di là delle motivazioni politiche, si giustifica solo con un calcolo ispirato a un opportunismo elettorale di lunga prospettiva. Il Carroccio parla di un ribaltone e si schiera nettamente all’opposizione di qualsiasi governo tecnico, mentre Di Pietro, dopo l’invito alla responsabilità di Bersani e le critiche ricevute anche dalla base, resta in dubbio, ma in teoria ancora deciso a non governare con i nemici di sempre. Diversa la posizione di SEL. Vendola, infatti, apre a un governo tecnico, ma solo se di breve durata e a condizione di avere subito una patrimoniale che riequilibri il peso dei sacrifici richiesti ai ceti medio bassi.

Resta il fatto che dopo mesi di attonita inazione e di chiacchiere prive di contenuto, tutto questo dinamismo, questa velocità di scelte si o no, inusuali per la nostra consuetudine politica, colpisce. Sia pure sotto il pungolo del default, è possibile che, improvvisamente, un Paese come il nostro, indolente e sfibrato, abituato ad accettarsi così com’è e a rimandare le necessità ad un domani incerto, ritrovi la spinta di una politica davvero responsabile, al punto da saltare con un balzo gli steccati di partito, le contrapposizioni storiche e il semplice tornaconto?

Sembra, come rivendica Casini – in polemica con Prodi che parla di commissariamento -, il ritorno della politica alla sua vera essenza. Viene quasi da chiedersi se, alla fine, non dovremo ringraziare la classe dirigente di questa ultima chance di salvezza regalataci, di questo residuo di ottimismo.

In realtà, se non era per il Presidente della Repubblica, la politica odierna non avrebbe mai trovato l’accelerazione necessaria a sperare ancora. Sarebbe rimasta a fare i conti su come l’elettorato percepisce la scelta di un’alleanza di governo, piuttosto che sulle ragioni concrete per farla.

Nella giornata di mercoledì, il Capo dello Stato ha messo a segno una serie di mosse politiche che, da un lato, basteranno – questa almeno è la speranza – a ricordare in futuro l’importanza del suo mandato, dall’altro, danno il metro di come e perché i padri costituenti hanno reso così ricca di sfumature la carica del Presidente della Repubblica. Tratteggiando una duplice valenza politica che permette alla figura Capo dello Stato di essere tanto un notaio silenzioso messo a garanzia della vita istituzionale e della Carta, quanto, ed è ciò che accade ora, il vero elemento propulsivo del sistema.

A metà settimana l’Europa avverte: non azzererete il deficit nel 2013, bisogna fare di più, il ddl di Stabilità non basta. Si profila un’altra riforma delle pensioni e un probabile intervento su rendite e patrimoni, oltre che sul mercato del lavoro. Non c’è tempo da perdere, il paese è a crescita zero, l’industria è ai minimi, mentre lo spread ben oltre i 500 punti (ricordate per quanto tempo è stato agitato lo spauracchio dei 400 punti?) sta creando un vuoto di liquidità e dubbi sempre più pesanti sulla solvibilità del nostro debito.

Il futuro mostra il timore di un Europa in recessione e di un’Italia impantanata in una stagnazione di giorno in giorno più prossima, da fuori tutti urlano di fare presto perché la nave affonda, ma i nostri politici restano imbambolati a fare i loro conti sulle prossime scadenze elettorali, ipotizzando un dopo politico seriamente a rischio.

È a questo punto che Giorgio Napolitano scende in campo con una rapidità d’azione che mal si concilia con le sue movenze dettate dall’età e prende il timone, come a dire: “adesso basta, adesso sentite me”. Sembra di vedere un anziano maestro alle prese con una classe di ragazzini discoli e perditempo, a cui, a forza di risate e di cartoccetti tirati sulla testa, è sfuggita di mano una situazione da cui ora è difficile uscire, mentre la bocciatura appare imminente.

Il vecchio maestro, non ha più voce né parole per richiamarli e allora agisce. Blocca sul nascere i giochi pericolosi di Berlusconi sulle dimissioni. Le manovrine tese a perdere altro tempo e a lasciare un’eredità, se possibile, ancora più compromessa, mascherando il drammatico nulla di fatto prodotto dal suo governo con la complicità di alleati e sedicenti responsabili dell’ultim’ora. Il Colle parla indossando il Tricolore e dichiara con toni di grave serietà che non ci saranno passi indietro o tentennamenti, il premier si è dimesso, anche se non ancora formalmente.

Con una spinta toglie Berlusconi dal centro della scena prima che torni a ingombrarla inutilmente con un nuovo capitolo autoreferenziale e una nuova lotta personale.

Nomina Monti senatore a vita per condurlo nel palazzo della politica dalla porta principale e far capire ai partiti che il governo che serve può chiamarsi come si vuole – tecnico, politico, di solidarietà, per l’Europa, per l’Italia – ma quello è ed è necessario. Non ci sono più possibilità di sbagliare, basta una sola mossa falsa, al punto in cui siamo, per trasformarci nella bomba globale. Ordina al premier di tacere, le sue considerazioni a favore di un voto subito non sono opportune, la palla è di fatto passata al Capo dello Stato, sarà il Colle a valutare tutte le opzioni in suo possesso.

Poi si rivolge agli scolaretti litigiosi e spaesati che osservano attoniti, seduti in quel Parlamento che da fulcro della democrazia italiana hanno trasformato nel simbolo del disfacimento dello Stato e dell’ingiustizia sociale.

Li mette con le spalle al muro. Bisogna dare un segnale forte ai mercati, all’Europa e al mondo. Un messaggio che non può essere frainteso. Andare al voto ora significa far passare mesi e arrendersi a chi scommette sul fallimento del Paese, senza contare la possibilità, grazie al Porcellum, di non trovare la maggioranza nei due rami del Parlamento, il che equivarrebbe al disastro totale. Poche parole che suonano come una sveglia per maggioranza e opposizione.

I mercati finalmente reagiscono, la situazione migliora leggermente, non c’è da fare i salti di gioia, ma è comunque il segno evidente di un’inversione di tendenza. Come significative sono le parole di fiducia espresse da Angela Merkel e Barack Obama che premiano il Capo dello Stato, la cui presenza sembra rasserenare anche i rapporti con le istituzioni europee.

Di più non poteva fare il Presidente della Repubblica. Ora sta alle forze politiche. Possono decidere di essere seriamente responsabili, adottando scelte impopolari ma decisive in una situazione eccezionale, o, al contrario, dire no. Salvo tifare, in cuor loro, perché si formi una maggioranza che permetta alla nazione di non fallire e a loro, “coerentemente” all’opposizione, di capitalizzare in voti il malcontento popolare che inevitabilmente verrà fuori con le misure drastiche adottate all’insegna di quel lacrime e sangue che in Europa, ultimamente, è tristemente di moda.

Photo credits | FriendsofEurope

Comments

  1. Edoardo Cazzato

    L’attuale situazione economica è figlia di una degenerazione politica, determinatasi in una deriva culturale del Paese. Non esiste senso delle Istituzioni, perché la gente non si sente rappresentata dagli omuncoli dal basso profilo professionale e spesso dal risibile prospetto culturale, che le nostre Istituzioni ospitano.
    Il Governo tecnico mi sembra una soluzione doverosa, purché non annacquato da diaspore politiche nei confronti delle quali e l’Europa e gli Italiani non hanno alcun interesse.
    Nella probatio diabolica nella quale il Berlusconismo ci ha fatto cadere, priorità anche per un Governo tecnico deve essere quella di ridare credibilità alle Istituzioni: a tal riguardo, se nei confronti dell’Europa e dei mercati urgono interventi economici e sociali, nei confronti degli Italiani necessita una riforma seria della legge elettorale, che reintroduca, in una Costituzione che non prevede il vincolo di mandato, una sana e chiara responsabilità politica degli Eletti.

  2. Dubbio amletico:”E adesso sabotano o non sabotano?”