Il soldato Obama salva Ahmadinejad dai pirati - Diritto di critica
Mano aperta contro pugno chiuso. Obama tenta un nuovo approccio con Ahmadinejad, cui la Cia attribuisce abbastanza uranio e cattiveria da aver pronte 2 bombe atomiche a Busher. Un blitz della U.S. Navy ha liberato 13 pescatori iraniani, tenuti da più di un mese in ostaggio da pirati somali. L’intervento “umanitario” è avvenuto nel bel mezzo dell’ennesima escalation fra gli Usa e la Repubblica islamica, che aveva minacciato ritorsioni con la sua “intera forza militare” se gli Stati Uniti avessero fatto tornare una delle loro portaerei nel Golfo Persico.
L’operazione è partita dalla portaerei a stelle e strisce John C. Stennis, a 210 miglia marine dalla costa dell’Iran. All’imboccatura del Golfo di Oman la Stennis ha abbordato la “nave madre” dei corsari durante l’assalto ad un mercantile battente bandiera delle Bahamas; qui i marinai americani hanno trovato e liberato 13 pescatori iraniani che vi erano tenuti prigionieri da oltre un mese. Quindici pirati somali sono stati catturati. Gli iraniani sono rientrati in possesso del loro peschereccio, rifornito di carburante dalla marina Usa (piccola beffa, per il quarto produttore dell’Opec) e hanno fatto rotta per il porto di Shah Bahar.
Obama punta sulla “buona volontà” per smorzare i toni con l’Iran. L’operazione della Us Navy fa bene all’immagine del “buon americano” che ha voluto dare al Cairo ad inizio mandato, soprattutto in Europa e in Arabia. L’Iran ringrazia a denti stretti: il portavoce del ministero degli esteri iraniano ha definito il blitz un ”atto umanitario e positivo”, senza dilungarsi in dettagli imbarazzanti.
Dietro la facciata umanitaria, l’operazione fortemente voluta dal presidente Obama mostra disperazione. Una settimana fa il ministro iraniano della Difesa ha minacciato l’attacco alla portaerei Stennis se avesse “osato” tornare nelle acque del Golfo Persico. Dopo anni di propaganda, Teheran sembra decisa a far rispettare quella che considera la sua zona di influenza naturale sul mare di Persia. Un percorso obbligato per il petrolio saudita, a cui l’America fa la balia da oltre quarant’anni con un’apposita sezione della propria flotta. Obama non può prendere di petto le minacce di Ahmadinejad, almeno oltre un certo punto: il taglio da 450 miliardi di dollari al budget militare lo dimostra perfettamente.
Obama cerca di pacificare Teheran con le buone. O almeno mostrare che ci ha provato, prima di una “crisi” del Golfo Persico che sarebbe simile, per molti aspetti, alla crisi di Cuba del 1962.