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Diritto di critica | April 17, 2024

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Quell'accordo segreto tra Stati Uniti e Pakistan dopo la morte di Bin Laden - Diritto di critica

Quell’accordo segreto tra Stati Uniti e Pakistan dopo la morte di Bin Laden

di Giovanni Giacalone

Il primo ministro pakistano Yosuf Reza Gilani è stato rinviato ieri a giudizio per oltraggio alla Corte Suprema del paese, con l’accusa di essersi rifiutato di applicare un’ordinanza che imponeva di riaprire vecchi casi di corruzione contro il presidente Asif Ali Zardari. Se dovesse essere condannato rischierebbe sei mesi di reclusione e l’espulsione dalla carica. Gilani dal canto suo si è dichiarato non colpevole, in quanto Zardari godrebbe di immunità, essendo presidente del Pakistan.

Con una sentenza del dicembre 2009 i giudici avevano chiesto al Primo Ministro di presentare una lettera alle autorità svizzere per riaprire il fascicolo contro Zardari, annullando un’amnistia giudiziaria (la National Reconciliation Ordinance) introdotta nel 2007 dall’allora presidente e generale dell’esercito Pervez Musharraf. Amnistia di cui avevano beneficiato numerosi politici inquisiti per corruzione.

Zardari, vedovo della defunta Benazir Buttho, non sarebbe nuovo ad accuse di questo genere: nel 1998 il New York Times pubblicò un articolo dove il “clan Buttho-Zardari” veniva posto al centro di affari illeciti. Tra le varie attività, la famiglia Buttho avrebbe accumulato 1,5 milioni di dollari attraverso tangenti legate ad attività di governo. Zardari avrebbe invece organizzato dei negoziati segreti e privi di scrupoli, licenziando chiunque vi si opponesse. Nel 1996 venne arrestato per corruzione e fu scarcerato nel 2004.

Gilani, a sua volta, ha trascorso  sei anni in carcere, dal 2001 al 2006, con l’accusa di corruzione in seguito a indagini del NAB (National Accountability Bureau), un’istituzione fondata nel 1999, dal governo militare golpista guidato da Musharraf, con l’obiettivo di monitorare sui casi di corruzione e di terrorismo economico volto a destabilizzare il paese. In realtà il NAB è stato spesso accusato di essere uno strumento con cui il regime perseguitava gli oppositori politici, inclusi i Buttho. Nel 2008 Gilani scampò anche a un attentato nei pressi di Rawalpindi, località già tristemente nota a causa di un altro attentato, costato la vita a Benazir Buttho nel dicembre 2007, nonché roccaforte delle forze armate pakistane.

E’, in ogni caso, la prima volta nella storia del paese che un primo ministro viene rinviato a giudizio e il caso sta portando un Pakistan già profondamente scosso da ulteriori fattori come i conflitti politici e sociali interni, un’economia debole, un alto tasso di povertà, gli scontri tra esercito e gruppi armati quali il TTP (Tehrik-i-Taliban Pakistan), verso una preoccupante instabilità.

Ma i guai di Gilani vanno ben oltre i casi di corruzione in quanto il governo si è trovato a dover fronteggiare anche lo scandalo Memogate.

Il 10 ottobre 2011, l’uomo d’affari americano di origini pakistane Mansoor Ijaz rivelò al New York Times come avesse agito da intermediario tra l’esecutivo pakistano e l’amministrazione Obama in seguito a una richiesta di aiuto per evitare un potenziale e probabile colpo di stato militare come conseguenza del raid americano in territorio pakistano che ebbe come epilogo l’uccisione di Usama Bin Laden.

Il documento afferma, tra le varie cose, che il governo si sarebbe impegnato a smantellare l’ala dell’ISI, i servizi segreti pakistani, responsabile dell’appoggio ad al-Qaeda. Da parecchio tempo, infatti, gira voce che vi sia una parte dei servizi che, segretamente ma non troppo, appoggia i talebani e al-Qaeda.

Verità o menzogne? Una branca deviata dei servizi segreti oppure dei tripli giochi all’interno del paese? Qualunque sia la reale situazione, c’è da dire che le dinamiche legate all’uccisione di Bin Laden fanno riflettere, oltre ad aver messo in non poco imbarazzo l’esercito pakistano e gli apparati di sicurezza.

Usama Bin Laden infatti sarebbe stato individuato e ucciso in un raid unilaterale americano, all’interno di un’abitazione della cittadina di Abbottabad, a poca distanza dalla più nota e prestigiosa accademia militare del paese. Una zona meticolosamente monitorata dai servizi segreti pakistani, dove è praticamente impossibile passare inosservati. Come scrive Anna Mahjar Barducci nel suo libro “Pakistan Express”: “Ad Abbottabad la polizia è informata di tutto quello che succede e tiene sotto controllo tutti, , specialmente gli stranieri”. E lei ad Abbottabad c’ha vissuto.

E’ dunque possibile che il ricercato numero uno al mondo sia riuscito a passare inosservato per tutto questo tempo in un tale contesto senza essere mai notato dall’ISI?

In aggiunta, fonti del Pentagono sostengono che anche Ayman al-Zawahiri, ex numero due di al-Qaeda, ora al vertice, si nasconderebbe in Pakistan.

Dunque le gatte da pelare per l’esecutivo Gilani sono molte e a questo punto c’è da chiedersi quanto di ciò che sta accadendo sia effettivamente sotto il controllo del governo e quanto sia invece conseguenza di iniziative interne alle istituzioni che rischiano di far cadere il paese in un pericoloso baratro.

Il Pakistan si trova in una posizione strategica fondamentale in quanto, oltre agli stretti e storici legami con l’Afghanistan, è anche linea di confine tra Medio Oriente ed Asia meridionale e una delle porte d’ingresso verso il Golfo Persico. Gli equilibri interni del paese sono dunque essenziali per quelli internazionali.