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Diritto di critica | April 15, 2024

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Reporter sotto le bombe di Assad, la verità assassinata - Diritto di critica

Reporter sotto le bombe di Assad, la verità assassinata

Remi Ochlik. Marie Colvin. Ramy Al-Sayed. Gilles Jacquiers. E altri 5 – uccisi da inizio 2012 – di cui comincia a sfumare il nome. I giornalisti che muoiono sotto le bombe sono l’altra faccia del massacro siriano. Insieme ai civili, subiscono la violenza che nessuno – dall’Onu alla Nato – è capace di fermare. Testimoni scomodi, che il regime colpisce di proposito, seguendo il segnale dei telefoni satellitari.

Di fronte alle 7600 vittime registrate nella città di Homs da marzo 2011, un paio di giornalisti uccisi perde importanza. Eppure senza di loro non sapremmo niente. I numeri delle vittime resterebbero quelli dati dal Comitato Nazionale Siriano, gonfiati dalla necessità di batter cassa a Occidente. I bombardamenti svanirebbero nei comunicati stampa del Presidente, che parla di referendum popolare pacifico mentre assedia le città insorte. La verità, quella cosa che sta nel mezzo e al cui cospetto non si può restare neutrali, non esisterebbe senza i reporter.

Intorno a Homs, il quarto e il 18esimo battaglione dell’Esercito regolare siriano sono in movimento. Dopo aver raso al suolo l’80% del quartiere Bab Amr, i militari hanno allargato il fuoco su Bab al-Sabaa, al-Khalidiya e Karm al-Zeitun. Le strade sono piene di cadaveri abbandonati, nessuno rischia di finire sotto le bombe per trascinarli via. Anche i feriti restano in casa, arrivare in ospedale è un suicidio. Inutile, peraltro: ad al-Hareth hanno finito antidolorifici e sangue, le barelle sono piene di corpi agonizzanti impossibili da operare. Cibo e acqua scarseggiano.

Tutto questo lo sappiamo grazie a gente come Marie e Remi. Dormivano e mangiavano nella “cantina delle vedove”, come raccontava sul Sunday Times la giornalista americana con la benda sull’occhio: il sotterraneo di una falegnameria, dove 300 tra donne e bambini sono ammassati per salvarsi dalle bombe. Ieri i due reporter si trovavano in una casa “speciale”: aveva una parabola ammaccata sul tetto e si riuscivano a trasmettere brandelli di notizie. Undici razzi hanno colpito l’edificio in pochi minuti. La salva ha ferito anche la giornalista francese Edith Bouvier e altri due inglesi. La Colvin e Ochlik – 55 e 28 anni, nel cuore la stessa febbre di raccontare, non ce l’hanno fatta.

Lo sdegno inutile. I governi occidentali si rincorrono, fanno a gara per indignarsi, e giurano di “provare orrore per la violenza” di Homs. Eppure non cambia nulla.  L’Onu non interviene, e non interverrà, paralizzato dalla Russia. L’interesse di Mosca è forte, non sente ragioni: Damasco deve lavare i suoi panni in casa senza interferenze, senza un contingente ostile tra i piedi. La Lega Araba cerca legittimazioni che non arrivano per intervenire, sotto la  minaccia di una guerra (palese o meno) con Teheran. Che intanto ridicolizza le sanzioni europee finanziando Assad, schierando due navi da guerra a Tartus e inviando 15mila pasdaran nella Repubblica Araba.

La verità è che se ne fregheranno. Assad finge di non aver saputo che i giornalisti erano lì, gli ambasciatori di mezza Europa comunicano a Damasco che sono “davvero indignati”. Ma non si interviene. Non si minaccia. Non si tratta. Non si bloccano nemmeno le esportazioni di fosfato dalla Siria – sono a basso costo, alla Grecia servono.

 

 

Comments

  1. Pierpaolo

    Ho sentito che strappano loro anche la lingua.

  2. Sirio Valent

    Ammetto di aver scritto l’articolo pensando proprio al problema delle fonti e dell’affidabilità delle notizie. I finanziamenti occidentali al Cns sono altamente probabili, come lei ricorda, ma non vedo come questo possa cambiare il panorama. Mi guardo bene dal demonizzare Assad come unico cattivone di turno: la guerra la stanno facendo entrambi. E probabilmente alla gente di Bab Amr comincia a non interessare chi governa a Damasco, ma solo che finiscano i bombardamenti. Quel che non mi piace, ammetto, è che una delle due parti abbia i cannoni e l’altra i fucili: che una colpisca indiscriminatamente da chilometri di distanza, a scopo repressivo. Una città è colpevole se nei suoi quartieri si nascondono dei nemici? Io penso di no. A prescindere dalla democrazia. 
    Detto questo, non mi sento particolarmente pro occidente e anti Siria, in questo momento. Le colpe sono diffuse e pervasive, tra chi bombarda e chi tace, o sbraita e si tiene al caldo. Però credo che schierarsi sia necessario. Non si può stare a guardare e dire “è tutto ok”. Non trova?