La debole Italia che non riesce a riportare a casa i due marò - Diritto di critica
La diplomazia italiana al centro di una valanga di polemiche per la serie di insuccessi accumulati in queste ultime settimane. Il principale è la vicenda dei marò arrestati in India sta creando un grave precedente internazionale che mette in evidenza, ancora una volta, serie debolezze della politica estera italiana. Una situazione estremamente complessa che sta colpendo duramente la credibilità dell’Italia sul piano internazionale.
La vicenda. La dinamica dei fatti presenta ancora numerose divergenze ma con certezza è possibile affermare che il 15 febbraio i due militari erano insieme ad altri quattro colleghi a bordo della petroliera Enrica Lexie con il compito preciso di difenderla da eventuali attacchi di pirati Al largo delle coste del distretto di Kerale, i marò hanno sparato contro un’imbarcazione. Poco più tardi, al porto di Kochi è approdato il peschereccio indiano Saint Anthony, traforato da colpi da arma da fuoco e con a bordo due uomini uccisi. Non è chiaro se il peschereccio in questione fosse lo stesso verso cui hanno sparato i militari italiani. Non si sa neanche se i due occupanti fossero già morti già prima di incrociare la Enrica Lexie (circostanza che potrebbe spiegare il mancato rispetto degli avvertimenti dati dai marò). Secondo le rilevazioni balistiche della magistratura indiana, tuttavia, i proiettili che hanno colpito il peschereccio sono compatibili con le armi in dotazione ai fucilieri di marina italiani.
La pirateria e il diritto del mare. Gli attacchi dei pirati hanno conosciuto negli ultimi anni un drastico aumento divenendo uno dei problemi più seri per il traffico marittimo internazionale. Le soluzioni avanzate nel corso del tempo sono state varie ma tutte inefficaci. La prima, adottata da numerosi stati è stata quella di inviare navi da guerra in missione come scorta dei mercantili o di sorveglianza delle zone più a rischio. Questa possibilità è prevista dalla stessa Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare la quale riserva alle navi da guerra il compito di neutralizzare e prevenire il crimine della pirateria. La Convenzione non esclude tuttavia la possibilità di imbarcare militari o contractors (questi ultimi sconsigliati per il timore di aumentare tensioni nei mari) sulle navi mercantili di bandiera. Sebbene l’Italia in principio non fosse d’accordo con la possibilità di impiegare personale armato, militare o civile, a bordo delle navi mercantili, con la legge n. 130 del 2 agosto 201, c’è stato un cambiamento di rotta. I militari imbarcati operano seguendo le direttive del Ministero della Difesa, rispettando unicamente la catena militare di comando. È loro competenza esclusiva la pirateria ed il comandante della nave mercantile non ha alcun tipo di potere in merito.
L’immunità. Al centro della disputa tra Italia e India è la giurisdizione sui due marò. Se si confermasse che l’incidente è avvenuto in acque internazionali spetterebbe all’Italia giudicare l’accaduto. Secondo il diritto internazionale infatti in alto mare le navi sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva dello Stato di cui battono bandiera. Ma ciò che viene in rilievo nel caso dei marò è che si tratta di due militari, cioè individui che hanno agito per conto dello Stato italiano a tutela di uno dei principi fondamentali della Comunità internazionale: la difesa del commercio internazionale. Dovrebbero essere considerati, quindi, organi dello Stato ed in quanto tali godere dell’immunità avendo agito nell’espletamento delle loro funzioni.
Giudicare ed arrestare i marò, da parte delle autorità indiane, significa dunque ledere gravemente la sovranità italiana. Anche in passato, secondo la prassi gli Stati mantenevano la propria giurisdizione sul personale militare all’estero. Tutto questo avrebbe comunque poca importanza se si confermasse ciò che con tutta probabilità è avvenuto ossia che l’incidente è avuto luogo in acque internazionali.