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Diritto di critica | October 4, 2024

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Crescita e disoccupazione, l'Istat dice No a Monti - Diritto di critica

Altro che ripresa: le prospettive sono nere. L’Istat calcola 2,3 punti di Pil in meno per il 2012, e anche nel 2013 dominerà il segno meno (-0,7% se tutto va bene). La “fine della tempesta” annunciata da Monti non si vede. Facendo qualche conto, si vede solo l’onda lunga della crisi: meno lavoro, meno redditi, meno consumi. Mentre il mondo si riprende (la Francia di Hollande, per esempio), l’Italia dovrà nuotare per ancora 2 anni nella palude della recessione.

I dati dell’Istat per settembre 2012 sono neri. La disoccupazione ha raggiunto un nuovo picco, attestandosi a settembre a quota 10.8%: l’anno scorso, nello stesso mese, il tasso di disoccupati era dell’8,6%. I lavoratori effettivi tornano al livello di un anno fa, pari a 22,93 milioni: considerando una popolazione di quasi 61 milioni di abitanti, lavora solo uno su tre. La conseguenza, immediata, è sui redditi. Chi perde il lavoro, non spende come prima: le famiglie dei disoccupati consumano molto meno. E anche su questo l’Istat ha le cifre in mano: è la domanda interna a tagliare le gambe all’economia e alle persone, con un brusco calo del 3,2% della spesa privata per consumi. L’estero ci aiuta un po’, il made in Italy si vende meglio di quanto non si creda (+2,8%): però non basta a mantenere in attivo il Pil. Che, per inciso, è il riferimento del nostro benessere, e anche il metro della nostra ricchezza-povertà.

2013, non si vede luce. Se fosse solo per l’anno ormai esaurito, andrebbe ancora bene. Ma l’Istat non si ferma alle rilevazioni e tenta qualche previsione. L’anno che verrà sarà un nuovo anno di recessione: il Pil calerà, almeno dello 0,7%, e se ci si mette qualche altro sobbalzo internazionale, anche di più. La disoccupazione salirà all’11,4%, la spesa delle famiglie si contrarrà ancora. I salari, già tornati a livelli minimi rispetto all’anno scorso, crescono di appena l’1,4%, contro un’inflazione doppia.

L’Istat chiarisce che il problema è proprio nelle “persistenti difficoltà sul mercato del lavoro e della debolezza dei redditi nominali“: ovvero lavoro incerto e portafogli vuoti. E non si può incolpare la crisi mondiale. Il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita moderata ma positiva per la Francia di Hollande (+0,4% del Pil) nel 2013. E sul fronte lavorativo, i tempi di rientro nel mercato del lavoro in Germania, Francia e Inghilterra sono la metà dei nostri. Un tedesco licenziato trova un posto entro 8 mesi, in media: un italiano ci mette 15 mesi. Peggio di noi solo greci e spagnoli, con 16 mesi di attesa.

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