Siria, la guerra riaccende la vendita delle schiave
Possono avere 16 anni come 25, essere bambine o vedove di guerra, sole o con famiglia: sono merce preziosa e a basso costo, gli acquirenti accorrono. Nei campi profughi siriani è ricominciato – dopo anni di divieto – il commercio delle spose. Ricchi sauditi arrivano e comprano giovani siriane. Dietro di loro una famiglia alla fame con in mano 1000 euro, a volte anche 5000. Non è “tradizione islamica”: è disperazione delle famiglie e avidità dei compratori.
A Homs, Aleppo, Idlib, Damasco, continuano a piovere bombe. Non si può tornare a casa, non c’è più lavoro: i pochi soldi portati via in fretta durante la fuga son già finiti, dopo un anno di guerra civile. E gli aiuti nei campi profughi sono razionati, a volte insufficienti. Le prospettive di una pace sono lontane – ad ogni notizia di un bombardamento o di un attentato dei ribelli, i tempi si allungano di anni. I profughi siriani, ormai 5 milioni in tutto il Paese e circa 500mila in Turchia, hanno davanti a sé anni di povertà e miseria.
Da qui è ripartito il traffico di esseri umani, la vendita di donne e bambine come spose. Gli attivisti per i diritti umani in Siria denunciano un fenomeno in crescita: le decine di casi diventano centinaia. I tassisti di Amman si sono attrezzati e cercano di rimorchiare in aeroporto gli arabi provenienti da Abu Dhabi, Kuwait City, Doha. Sanno che hanno soldi, e provano a raccogliere le briciole. Così portano i ricchi visitatori nelle vicinanze dei campi profughi, presentano le “fidanzate” all’acquirente e contrattano. Questi “procuratori di commercio” pare chiedano alla famiglia delle ragazze soldi o pacchi alimentari ricevuti nel campo per scegliere la figlia, in modo da avere più possibilità di “piazzarla”. Poi gli acquirenti pagano, e partono con la sposa. I prezzi, secondo gli attivisti, sono ancora alti, ma in discesa: dai 5mila euro di qualche mese fa, ora basta anche solo mille euro per convincere una famiglia.
C’è chi dice no, ovviamente, e difende l’onore di sua figlia di fronte alla miseria. E c’è chi non può permetterselo. E’ la guerra, e non è la prima volta che succede: tra il 2005 e il 2007 successe in Pakistan, durante i bombardamenti “mirati” dei droni. E succede ad ogni guerra – in Cecenia, in ex-Jugoslavia, in Africa. Miseria e disperazione sono un connubio troppo potente. Forse per questo il concetto occidentale di libertà perde valore. Scegliere il proprio marito diventa secondario, quando potresti morire di bombe o di fame una settimana dopo. E la fame dei fratelli o dei genitori fa più male, forse, delle nozze con uno sconosciuto in un Paese straniero. La condanna (e la repressione di polizia, anche internazionale, per traffico di esseri umani) va ai trafficanti e agli acquirenti, ma prima di giudicare le famiglie e le figlie, chiediamoci cosa faremmo al posto loro. Senza ipocrisia.
Comments