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Diritto di critica | April 27, 2024

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Niente bambini russi negli Usa, Putin firma la legge

di Marco Luigi Cimminella

Venerdì, 28 dicembre, Vladimir Putin ha firmato la legge che vieta alle famiglie statunitensi di adottare bambini russi. Questa misura, già approvata nei giorni scorsi dal Consiglio Federativo e dalla Duma, rispettivamente camera alta e bassa del Parlamento di Mosca, è stata così convertita ufficialmente in legge e dovrebbe annullare completamente l’accordo precedentemente stipulato fra i due paesi nell’ambito delle adozioni. Il provvedimento, inoltre, comporta la proscrizione di qualsiasi attività politica a quelle organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti da Washington, mentre impone sanzioni ai funzionari statunitensi accusati di violazioni di diritti umani, con restrizioni sui visti e congelamento di attività finanziarie.

Quella Guerra fredda che non finisce mai. La disposizione è stata interpretata dagli analisti come una ritorsione politica al Magnitsky Act, firmato dal Barack Obama il 14 dicembre scorso. Questa legge, difatti, ha imposto restrizioni finanziarie e di ingresso in territorio statunitense ai cittadini russi considerati responsabili di abusi e violazioni dei diritti umani. Il provvedimento prende il nome dall’avvocato russo Sergei Magnitsky, che aveva disvelato il più grande caso di evasione fiscale all’interno del paese di cui erano protagonisti funzionari governativi. Magnitsky si presume essere stato percosso a morte in un centro di detenzione russo nel 2009, dove era stato recluso per un anno. La misura adottata dal Congresso statunitense era stata bollata da Putin come un “atto di inimicizia”; dichiarazione seguita dalla successiva esortazione fatta alla Casa Bianca di occuparsi delle dure condizioni delle carceri nordamericane.

Qualche dissenso interno. Voci di dissenso hanno subito serpeggiato all’interno dell’élite moscovita: sono quelle del ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, e della vice primo ministro, Olga Golodets, secondo i quali la proposta di legge lede la Convenzione dei Diritti del Bambino del 1989. A queste si è aggiunta la dura critica espressa dal portavoce del Dipartimento di Stato, Patrick Ventrell, secondo cui il provvedimento ostacolerebbe la collaborazione esistente fra i due paesi nel processo di adozione di bambini orfani, stroncando qualsiasi tentativo di cooperazione fra le organizzazioni della società civile russa e istituzioni statunitensi e cancellando così gli effetti dell’ultimo accordo stipulato sul tema ed entrato in vigore il primo novembre scorso. Difatti, come riportato dall’International Herald Tribune, sono circa 1.000 i bambini russi adottati da statunitensi nel 2011, e più di 45mila sono quelli accolti a partire dal 1999.

I bambini russi maltrattati. Diversamente, coloro che sono a favore del provvedimento lo hanno giustificato facendo riferimento agli abusi e alle morti di bambini russi adottati da famiglie statunitensi: emblematici in questo senso sono il caso di Dima Yakovlev, deceduto nel 2008 per un colpo di calore dopo essere stato lasciato in una macchina parcheggiata per nove ore, e di Masha Allen, violentata dal suo padre adottivo. A gettare ulteriore benzina sul fuoco sono state le critiche dell’ambasciatore russo Konstantin Dolgov, speciale rappresentante per i Diritti Umani, sulla mancata adesione di Washington alla Convezione della Nazioni Unite sui Diritti del Bambino del 1989.

Le vere vittime di uno scontro diplomatico. Ad ogni modo, lamentano le organizzazioni no-profit come Amnesty International e Human Rights Watch, vittime di questo scontro diplomatico sono gli orfani, che conducono la propria esistenza in istituti decadenti, sovraffollati e privi di infrastrutture e servizi adeguati. Molti di loro sono anche malati e necessitano di cure sanitarie che il loro paese sembra non essere in grado di offrire.

Il contesto internazionale. La politica di “reset” adottata dall’amministrazione Obama nel febbraio del 2009 aveva permesso di registrare una relativo progresso nei rapporti bilaterali fra i due paesi. Esemplificativi a riguardo sono stati, in primo luogo, la sottoscrizione e la ratifica del nuovo Trattato Start sulla riduzione delle armi nucleari; secondariamente, la facilitazione delle operazioni Nato in Afghanistan, con l’apertura di nuove vie d’approvvigionamento in territorio russo. A questo si aggiunge inoltre il sostegno di Mosca, mostrato in alcune occasioni, alle misure statunitensi volte a inibire la volontà e gli sforzi iraniani atti a dotarsi di una propria forza nucleare (si pensi al voto russo in seno al Consiglio di Sicurezza Onu nel giugno del 2010 in riferimento alla Risoluzione 1929). Infine, anche la partecipazione della Russia all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), sostenuta da Washington e dagli interessi economici delle grandi imprese statunitensi, è stata importante nel processo di avvicinamento.

Ciò che divide. Tuttavia, la cooperazione in alcuni settori viene negativamente bilanciata da altrettante divergenze e contrapposizioni in diversi importanti ambiti. Innanzitutto, il problema dei diritti umani, il cui trattamento di Mosca è aspramente contestato da ampie formazioni del Congresso statunitense. A questo si aggiungono le opposte visioni sulla situazione siriana, dato l’appoggio russo al regime di Bashar al-Assad e la questione dell’allargamento ad Est della Nato, a cui si contrappone l’impegno moscovita a rafforzare la propria influenza sui vicini regionali, attraverso meccanismi come l’unione doganale con Kazakistan e Bielorussia. Infine, un’altra controversia riguarda la difesa missilistica in Europa, dove emblematico è stato il tentativo della Nato di giustificare il posizionamento di missili Patriot in Turchia, lungo le frontiere con la Siria, con la necessità di garantire la difesa dello spazio aereo turco dai raid siriani. Una spiegazione che è stata duramente contestata da Dmitry Polikanov, vice-presidente del Centro russo di Studi Politici, secondo cui i sistemi missilistici Patriot sono mobili e possono essere re-indirizzati, in qualsiasi momento, contro altri obiettivi, come l’Iran o la Russia.

Il Magnitsky Act e la risposta simmetrica di Mosca hanno messo in evidenza le difficoltà di un rapporto che deve ancora liberarsi dagli strascichi della Guerra Fredda: una relazione che, nonostante le continue esortazioni delle due leadership ad abbandonare una retorica controproducente e ad adottare discorsi de-ideologizzati, stenta effettivamente a progredire.

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