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Diritto di critica | April 26, 2024

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E adesso potrebbe toccare a Renzi

renzi-bersaniIl primo giro di boa per il Partito democratico è previsto per mercoledì prossimo, con la direzione del Pd. Lì Bersani e i suoi dovranno arrivare con una strategia precisa in mano, punti fermi da raggiungere e soprattutto una road map per far uscire il Pd dalla palude in cui s’è messo con le sue stesse mani. Al Nazareno sono giorni di notti insonni. E chi ha parlato con Bersani lo descrive nervoso e per niente certo dei prossimi passi da compiere. Il rischio di mettere il piede in fallo è altissimo.

Il rischio elezioni. Per ora, l’unica strategia possibile per il Pd è quella di inchiodare il Movimento 5Stelle a pochi punti programmatici che Grillo non potrà rifiutare e su quelli iniziare a trattare, prendendo tempo senza andare di nuovo al voto. “Se si tornasse alle urne – spiegano negli ambienti vicini alla Segreteria Pd – Grillo capitalizzerebbe ulteriormente il tracollo dei partiti e rischieremmo di trovarcelo al 30-35% in un attimo. Le elezioni sarebbero un disastro”.

Il passo indietro. La fragile struttura “democratica”, dunque, per ora deve reggere. Non ci sono alternative. E se dovesse servire, la direzione di mercoledì prossimo potrebbe chiedere a Bersani “un passo indietro” (come ha spiegato oggi in un’intervista al Corriere la portavoce del Segretario, l’onorevole Moretti, usando un eufemismo), all’insegna del rinnovamento del Partito democratico. Con un Renzi che già scalda i motori ma che – se fosse candidato premier – rischierebbe di bruciarsi in una palude politica di difficile gestione. E alcuni nel partito non aspettano altro che un passo falso del sindaco di Firenze. Il suo nome – non foss’altro che non ce ne sono altri – per ora è nell’aria. Anzi, al Nazareno lo si va ripetendo dal minuto successivo alla chiusura delle urne, preso atto della sconfitta del Pd a guida Bersani.

Renzi e il governissimo. A prendere il posto di Bersani, però, Renzi non ci sta. Ma fa sapere tramite un’intervista del Corriere della Sera (smentita con un tweet poco dopo – “Adesso faccio il sindaco” – ma chi ha orecchie per intendere intenda) che se venisse presentata a Napolitano una lista di candidati, tra cui lui, potrebbe avventurarsi a guidare una coalizione che tenesse dentro sia Grillo che Berlusconi. Una sorta di Monti junior. «Quando dicevo che avremmo dovuto dimezzare i parlamentari e azzerare il finanziamento pubblico – spiega il sindaco di Firenze – tutti mi trattavano come un demagogo da strapazzo, anche nel partito, senza capire che quello era il modo per sgonfiare Grillo». E il suo ragionamento non fa una piega. Così come il risultato: tre milioni e mezzo di voti in meno rispetto a quanto prese Veltroni. Una disfatta.

In bicicletta. E mentre un partito ingessato rischia di restare fossile, incancrenito sulle solite dinamiche interne, lontane dal Paese, Renzi fa sapere che se i suoi colleghi «arrivano per le riunioni del partito con le loro belle auto blu e litigano. Io preferisco rimanere a Firenze e andare in giro in bicicletta. Non voglio essere coinvolto in queste storie». Ma è lì pronto, in pole. E nel Pd lo sanno tutti. Anche Bersani.

Twitter@emilioftorsello

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