Crisi nera per la Russia, Putin sta perdendo la sua sfida
La guerra del petrolio iniziata dall'Arabia Saudita può essere l'arma in più per Obama. Il rublo crolla e per la Russia si preparano anni difficili
L’Impero mostra i muscoli. L’Impero sta crollando. La grande Russia, riedizione in piccolo dell’Unione Sovietica sta repentinamente sprofondando. La crisi finanziaria indotta dal crollo del prezzo del petrolio – di cui la Russia è uno dei principali esportatori mondiali – e dal conseguente deprezzamento del rublo, avrà presto ripercussioni sull’economia reale. Così i russi temono di ricadere nell’incubo della crisi economica della fine degli anni ottanta e dei primi anni novanta, quando i supermercati erano vuoti e l’inflazione galoppante.
Il rublo a picco. Oggi quello che più fa paura al regime russo è il crollo del valore del rublo. La moneta di Mosca oggi vale come un centesimo di euro, mai così in basso. La banca centrale ha immesso sul mercato moneta internazionale per frenare la caduta, ma gli effetti provocati sono piuttosto modesti. Il valore del rublo è strettamente legato al prezzo del petrolio perché per Mosca le esportazioni di greggio rappresentano oggi il 50% dei proventi statali. Se il prezzo del petrolio cala sensibilmente, a parità di esportazioni, la Russia rischia il default. Così, gli investitori internazionali immettono sul mercato rubli e di conseguenza il valore della moneta precipita. E i russi corrono a ritirare i risparmi e a svuotare i negozi.
I protagonisti
L’Arabia dietro la guerra del petrolio. La guerra dei prezzi del petrolio va avanti da alcuni mesi e viene condotta principalmente dai paesi sauditi. La scelta di Arabia e i vicini più piccoli è molto gradita a Barack Obama in quanto permette di contrastare e poi forse anche umiliare la Russia di Putin, un gigante dall’economia fragilissima, legata quasi esclusivamente all’agricoltura e alle esportazioni di idrocarburi. Ma l’Arabia Saudita non sta facendo solo un favore agli americani. La guerra del petrolio è condotta per sconfiggere il fronte sciita di Iran e Iraq che vuole garantirsi il mercato orientale. In questo si innesta il conflitto contro lo Stato islamico: gli Usa non stanno intervenendo energicamente ma si limitano ad azioni di contenimento perché Isis – foraggiato dal mondo sunnita – è funzionale all’indebolimento di questo fronte con l’eliminazione del regime di Assad, amico di Putin e dell’Iran. Eliminato Assad la situazione cambierà.
Riscoprire Cuba. Nell’intricata interconnessione geopolitica rientra anche l’apertura di ieri di Obama nei confronti di Cuba. Ripartono le relazioni diplomatiche e presto potrebbe essere cancellato l’embargo se la maggioranza repubblicana a Washington lo permetterà. Il repentino cambio di atteggiamento è funzionale alla necessità degli Stati Uniti di fare terra bruciata intorno a Putin. Il regime di L’Avana, infatti, ha sempre intrattenuto con Mosca un rapporto privilegiato. Lo stesso regime sovietico ha sempre considerato fondamentale l’alleanza con Cuba, proprio per la sua posizione geografica, enorme portaerei naturale davanti alle coste americane. Di fronte all’atteggiamento aggressivo di Putin e alle scorribande degli aerei militari russi sui cieli europei, Washington sta pensando bene di tutelarsi.
La Cina riluttante. In questo gioco del Risiko, manca la Cina. Putin sperava in un atteggiamento più disponibile da parte di Pechino per un’alleanza anti-occidentale. Ma il regime cinese per ora non vuole schierarsi militarmente (come ha dimostrato sull’Ucraina) e pensa, al momento, ad una alleanza economica con la Russia anche se le trattative procedono a rilento.
La scelta di Putin. Di fatto Putin è solo. E il suo regime, costruito compensando la riduzione dei diritti civili con maggiore benessere, rischia di incrinarsi e forse anche crollare se la situazione economica dovesse ulteriormente degenerare. Sta di certo che la Russia sta entrando in una fase di seria recessione economica foraggiata anche dalle sanzioni internazionali. Ora a Putin spetta la scelta: farsi umiliare sull’Ucraina ma salvare il benessere dei russi, oppure mostrare i denti e giocare sul nazionalismo e sulla sindrome dell’accerchiamento.
L’Impero mostra i muscoli. L’Impero sta crollando. La grande Russia, riedizione in piccolo dell’Unione Sovietica sta repentinamente sprofondando. La crisi finanziaria indotta dal crollo del prezzo del petrolio – di cui la Russia è uno dei principali esportatori mondiali – e dal conseguente deprezzamento del rublo, avrà presto ripercussioni sull’economia reale. Così i russi temono di ricadere nell’incubo della crisi economica della fine degli anni ottanta e dei primi anni novanta, quando i supermercati erano vuoti e l’inflazione galoppante.
Il rublo a picco. Oggi quello che più fa paura al regime russo è il crollo del valore del rublo. La moneta di Mosca oggi vale come un centesimo di euro, mai così in basso. La banca centrale ha immesso sul mercato moneta internazionale per frenare la caduta, ma gli effetti provocati sono piuttosto modesti. Il valore del rublo è strettamente legato al prezzo del petrolio perché per Mosca le esportazioni di greggio rappresentano oggi il 50% dei proventi statali. Se il prezzo del petrolio cala sensibilmente, a parità di esportazioni, la Russia rischia il default. Così, gli investitori internazionali immettono sul mercato rubli e di conseguenza il valore della moneta precipita. E i russi corrono a ritirare i risparmi e a svuotare i negozi.
I protagonisti
L’Arabia dietro la guerra del petrolio. La guerra dei prezzi del petrolio va avanti da alcuni mesi e viene condotta principalmente dai paesi sauditi. La scelta di Arabia e i vicini più piccoli è molto gradita a Barack Obama in quanto permette di contrastare e poi forse anche umiliare la Russia di Putin, un gigante dall’economia fragilissima, legata quasi esclusivamente all’agricoltura e alle esportazioni di idrocarburi. Ma l’Arabia Saudita non sta facendo solo un favore agli americani. La guerra del petrolio è condotta per sconfiggere il fronte sciita di Iran e Iraq che vuole garantirsi il mercato orientale. In questo si innesta il conflitto contro lo Stato islamico: gli Usa non stanno intervenendo energicamente ma si limitano ad azioni di contenimento perché Isis – foraggiato dal mondo sunnita – è funzionale all’indebolimento di questo fronte con l’eliminazione del regime di Assad, amico di Putin e dell’Iran. Eliminato Assad la situazione cambierà.
Riscoprire Cuba. Nell’intricata interconnessione geopolitica rientra anche l’apertura di ieri di Obama nei confronti di Cuba. Ripartono le relazioni diplomatiche e presto potrebbe essere cancellato l’embargo se la maggioranza repubblicana a Washington lo permetterà. Il repentino cambio di atteggiamento è funzionale alla necessità degli Stati Uniti di fare terra bruciata intorno a Putin. Il regime di L’Avana, infatti, ha sempre intrattenuto con Mosca un rapporto privilegiato. Lo stesso regime sovietico ha sempre considerato fondamentale l’alleanza con Cuba, proprio per la sua posizione geografica, enorme portaerei naturale davanti alle coste americane. Di fronte all’atteggiamento aggressivo di Putin e alle scorribande degli aerei militari russi sui cieli europei, Washington sta pensando bene di tutelarsi.
La Cina riluttante. In questo gioco del Risiko, manca la Cina. Putin sperava in un atteggiamento più disponibile da parte di Pechino per un’alleanza anti-occidentale. Ma il regime cinese per ora non vuole schierarsi militarmente (come ha dimostrato sull’Ucraina) e pensa, al momento, ad una alleanza economica con la Russia anche se le trattative procedono a rilento.
La scelta di Putin. Di fatto Putin è solo. E il suo regime, costruito compensando la riduzione dei diritti civili con maggiore benessere, rischia di incrinarsi e forse anche crollare se la situazione economica dovesse ulteriormente degenerare. Sta di certo che la Russia sta entrando in una fase di seria recessione economica foraggiata anche dalle sanzioni internazionali. Ora a Putin spetta la scelta: farsi umiliare sull’Ucraina ma salvare il benessere dei russi, oppure mostrare i denti e giocare sul nazionalismo e sulla sindrome dell’accerchiamento.