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Diritto di critica | April 15, 2024

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Addio bicameralismo, ora un Senato piccolo piccolo

La riforma approvata alla Camera riduce i poteri di Palazzo Madama e modifica i quorum per il Quirinale e per i referendum

Meno poteri alle regioni e un Senato piccolo piccolo. Non è ancora legge, ma la riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi inizia a prendere decisamente forma dopo l’approvazione ieri sera alla Camera. Il disegno di legge costituzionale vola ora a Palazzo Madama dove i voti della maggioranza sono un po’ risicati. Il premier spera che il Senato si limiti a ratificare la sua radicale trasformazione, dopo un anno di lavori.

La cosiddetta Camera alta, infatti, secondo il disegno di legge, sarà completamente riformata. Addio al bicameralismo perfetto che ha spesso rallentato i lavori parlamentari, e via ad una drastica riduzione del numero dei senatori che non saranno più eletti dai cittadini. Il nuovo sistema parlamentare sarà incentrato sulla Camera che sarà l’unica a dare e revocare la fiducia al governo. Palazzo Madama, invece, sarà composto da senatori eletti dai consigli regionali e sarà il luogo di rappresentanza dei territori. Entriamo, quindi, nel merito della riforma.

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  • La formazione della Camera rimane invariata. Sarà sempre composta da 630 deputati. Avrà l’esclusivo potere di concedere e togliere la fiducia al governo, con poteri di indirizzo politico e di controllo nei confronti dell’esecutivo.


  • Il Senato sarà composto da 95 membri espressione del territorio. Prenderanno parte ai lavori i sindaci delle principali città e i consiglieri regionali eletti dai singoli consigli. Altri cinque membri saranno nominati dal Presidente della Repubblica e rimarranno in carica per sette anni. Questi ultimi sostituiranno definitivamente i senatori a vita ad eccezione degli ex presidenti della Repubblica. I poteri del Senato saranno fortemente ridotti. Questo avrà le stesse prerogative della Camera per le cosiddette leggi bicamerali, cioè quelle di revisione Costituzionale e le leggi costituzionali. Per le materie espresse all’articolo 70, cioè quelle di competenza “concorrente” tra Stato e regioni, il Senato avrà pari poteri rispetto alla Camera, che potrà prevalere solo se si esprime a maggioranza assoluta dei suoi componenti (leggi monocamerali rinforzate), esercitando la “clausola di supremazia”. Per quanto riguarda la legge di bilancio, il Senato si esprimerà automaticamente, mentre su tutte le altre materie, Palazzo Madama potrà chiedere l’introduzione di una nuova legge o la modifica di una esistente, ma la Camera avrà facoltà di accogliere, respingere o ignorare la richiesta.


  • La riforma prevede tempi certi per l’approvazione o il respingimento di disegni di legge licenziati da Palazzo Chigi. Il nuovo testo prevede che il governo richieda il “voto a data certa” per quei disegni di legge che verranno indicati come essenziali per l’attuazione del programma. In questo caso le due Camere, in base alla materia, dovranno esprimersi entro 70 giorni.

  • I referendum abrogativi non avranno più un quorum prestabilito. La soglia oscillerà in base alle firme raccolte. Se le firme raccolte, come oggi, saranno superiori a 500 mila (ma inferiori a 800 mila), il quorum sarà pari al 50% più uno degli aventi diritto. Se le firme saranno più di 800 mila, il quorum scende alla metà del numero dei votanti alle ultime elezioni per la Camera. Viene introdotto il referendum di indirizzo che però entrerà in vigore solo con l’approvazione di una legge costituzionale ad hoc.

  • Il Presidente della Repubblica non sarà più eletto con la formula attuale. Spariscono i delegati regionali e l’elezione si terrà con la semplice seduta comune. Nei primi tre scrutini, il quorum è di 2/3 degli aventi diritto (630 deputati e 100 senatori, più gli ex presidenti). Dal quarto scrutinio il quorum scende a tre quinti, pari al 60% più uno degli aventi diritto. Dopo il settimo scrutinio il quorum viene aggiustato ai tre quinti dei votanti.