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Diritto di critica | March 29, 2024

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Migranti, se la vera emergenza è in Africa e Medio Oriente - Diritto di critica

Mentre l’Europa si affanna per affrontare la marea umana che fugge da guerra e povertà, altri Paesi ricevono centinaia di migliaia di persone senza sapere minimamente come occuparsene

Le frontiere sono tornate ad essere confini, nel senso peggiore del termine: luoghi di separazione, diversità, paura. Anche nel cuore dell’Europa. In questi giorni sembriamo aver perso completamente il controllo della disperata marea umana che arriva sul suolo europeo, o tenta di farlo: muri e repressione tra Ungheria e Serbia, interruzione del traffico ferroviario tra Danimarca e Germania, l’Austria che blocca il transito da e per l’Ungheria per «un imminente sovraccarico dovuto all’afflusso di migranti». Senza considerare i problemi nel Mediterraneo. Eppure l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), che già nel 2014 ha evidenziato come il numero di profughi nel mondo sia aumentato a dismisura, con conseguenze drammatiche (dal 2000 ad oggi sono morte almeno 29mila persone cercando di arrivare in Europa), invita a riflettere su un’altra emergenza, quella che riguarda Paesi come Iraq, Siria, Egitto, la stessa Libia: luoghi di partenza, transito, ma anche di arrivo, e ancora meno preparati ad affrontare i flussi migratori. Una situazione mai vista prima, che potrebbe avere conseguenze in queste Regioni per i prossimi anni.

Il caos in Africa È proprio l’Unhcr, in mancanza di strutture adeguate, a gestire le richieste di asilo dei profughi che arrivano in tutto il Nord Africa, come conseguenza anche delle misure più restrittive adottate da alcune nazioni europee; ma non è semplice per l’Onu lavorare in contesti instabili. Spesso chi arriva in Libia, per esempio, dall’Africa sub-sahariana, finisce in carcere o abbandonato al suo destino. La situazione non migliora nemmeno in Algeria (si stimano qui centomila profughi), Marocco o Tunisia. In Algeria ed Egitto arrivano soprattutto siriani, che non possono però trovarsi un lavoro o chiedere al governo locale lo status di rifugiato, semplicemente perché la legge non lo prevede. Il governo del Cairo da anni permette maltrattamenti di uomini, donne e bambini siriani, eritrei, sudanesi, ammassati in piccole celle con le uniche alternative di venire deportati nei loro Paesi d’origine o di tentare il tutto per tutto salendo sui barconi della morte, verso la Grecia o l’Italia. Rifarsi una vita in Turchia o Libano costa troppo, e non è così semplice attraversare il confine per chiedere asilo.

_84558718_asylumgettydresdenSiria e Iraq, le polveriere del Medio Oriente Sono più di quattro milioni i profughi siriani fuggiti nei vicini Libano, Giordania, Turchia e Iraq. L’Unhcr l’ha definita nei mesi scorsi come «la più grave crisi umanitaria degli ultimi 25 anni». Ma l’Iraq stesso non sa gestire la situazione, tra iracheni di ritorno dalla Siria e siriani che arrivano trovando campi affollati, miseria e scarsità di cibo e medicine. L’Agenzia dell’Onu laggiù è ha gravi problemi di risorse, anche economiche: per prevenire una crisi umanitaria occorrerebbero ben 500 milioni di dollari.

Il dramma silenzioso degli sfollati Secondo i dati delle agenzie dell’Unhcr sul territorio, ai flussi esterni vanno aggiunti infine anche i profughi interni, ovvero quei 500mila libici in fuga dalla guerriglia, dal terrorismo, dagli scontri tra milizie e dalla criminalità, vittime dell’anarchia in cui versa l’ex regno di Gheddafi. O ancora i quasi otto milioni di sfollati in Siria, un’ecatombe alla quale il residuo governo siriano non ancora nelle mani dei ribelli e dei terroristi non è assolutamente in grado di far fronte. Nel sempre più povero e instabile Yemen, gli abitanti che hanno abbandonato le loro case sono più di 500mila; uno su tre ha invece lasciato il Paese diretto in Nord Africa o nei vicini Stati arabi. In Iraq i profughi interni rappresentano il 17 per cento della popolazione.