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Diritto di critica | April 19, 2024

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Omicidio Verbano: il cerchio si restringe su due indagati - Diritto di critica

Omicidio Verbano: il cerchio si restringe su due indagati

Ucciso perché forse sapeva troppo. Perché aveva raccolto materiale compromettente su alcuni esponenti della destra romana negli anni’80. Valerio Verbano, studente e militante della sinistra extraparlamentare, a 19 anni fu assassinato nella sua abitazione da un commando di tre ragazzi. Era il 22 febbraio del 1980. Un dossier preparato da Verbano e da altri ‘compagni’, sparito e poi ritrovato, porterebbe con sé le cause dell’agguato e fornirebbe uno spaccato della lotta politica di quegli anni nella capitale. A sostenere questa tesi è la mamma di Valerio, la signora Carla, che ai microfoni di Radio24 lunedì scorso ha confermato l’autenticità della calligrafia del figlio sul documento ritrovato.

“Quello che hanno recuperato – ha sostenuto la donna – è una fotocopia dell’originale che aveva Valerio a casa o un’altra copia dei dossier, perché all’autentico avevano strappato molte pagine. Quando me lo mostrarono – spiega la signora Carla – il documento era ridotto ad un quadernetto piccolo”. Cosa c’era scritto di compromettente in quei dossier?

Francesco Storace, leader de La Destra, s’interroga sulla sorte del giovane e sulla bacheca di Facebook si è domandato a cosa servissero le informazioni raccolte da Verbano sul proprio conto e su quello di altri militanti della destra romana. L’ex governatore della Regione Lazio ha rivolto un appello a tutte le forze politiche affinché si faccia chiarezza sulla vicenda, con un invito particolare agli esponenti della sinistra extraparlamentare.

I dossier preparati da Verbano e compagni entrarono in possesso della polizia nel 1979 ed in seguito sparirono senza una precisa motivazione. Come riporta il Corriere della Sera, i documenti furono fotocopiati in parte e restituiti in copia alla famiglia privi di alcune pagine.

Il coordinatore di Sel Massimiliano Smeriglio ha sottolineato in una nota come il documento di Verbano facesse riferimento ad alcuni esponenti della destra romana. Notizie apprese da articoli di giornale, “con mano adolescenziale, non certo un dossier da servizio segreto”. Storace ha ribadito il carattere dei suoi sospetti, ovvero che Verbano avesse avuto degli informatori all’epoca, per redigere i dossier.

L’arma che uccise Valerio Verbano era una pistola calibro 38 special. Un colpo alla schiena e il ragazzo si spense durante la folla corsa in ambulanza. I tre ragazzi col passamontagna, che s’introdussero in casa della vittima, si finsero dapprima amici di Valerio, poi immobilizzarono i genitori e attesero che il ragazzo tornasse dalla scuola. Al suo arrivo ci fu una colluttazione nella quale il ragazzo ebbe la peggio. I genitori, poco dopo l’aggressione, riuscirono a liberarsi, ma il colpo sparato da uno dei tre ragazzi aveva già raggiunto Verbano alla schiena. In breve tempo arrivarono i vicini di casa e uno degli inquilini del piano di sopra riuscì a vedere in volto uno dei fuggitivi. Fu lo stesso inquilino che fornì dapprima un identikit alla polizia, e poi ritrattò la sua versione perché ebbe paura di ritorsioni.

Tra le persone indagate ci sarebbero due cinquantenni. Il cerchio si sta stringendo e, da quanto si apprende, uno dei due sarebbe un insospettabile professionista e l’altro vivrebbe da anni in Brasile. Dopo 9 anni di indagini, il 10 aprile del 1989, l’allora giudice istruttore di Roma Claudio D’Angelo dichiarò conclusa l’istruttoria sull’omicidio affermando ‘il non doversi procedere perché erano ignoti gli autori del reato”.

Ora il caso è stato riaperto e, oltre ai dossieri, sono riemersi altri particolari e oggetti che gli inquirenti stanno analizzando, come le pistole coi silenziatori, i bossoli, gli occhiali da sole e persino un bottone lasciato a casa Verbano dopo l’omicidio.

Sono stati ascoltati dal Ros anche gli ex Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (già condannati per la strage alla stazione di Bologna il 2 agosto del 1980 ndr), ma al momento non ci sono elementi utili. Molti i “non so” e i “non ricordo” pronunciati dagli ex terroristi. L’obiettivo degli inquirenti è quello di ricostruire le frequentazioni della vittima e le lotte politiche in cui è maturato l’omicidio.

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