Bin Laden è morto, Al Qaeda no - Diritto di critica
Osama Bin Laden non è Hitler, che con la sua morte ha segnato la fine della Germania nazista e della Seconda Guerra Mondiale. Al Qaeda non finisce certo con la sua morte: sia perché Bin Laden non l’ha mai controllata veramente, sia perché le stesse cellule operano in maniera indipendente e disorganizzata. L’unica cosa certa è che la morte dello sceicco serviva. Ora.
Il Presidente Obama annuncia l’uccisione di Bin Laden a tarda notte. L’America festeggia nelle strade sventolando bandiere, gridando una speranza ormai perduta e frustrata dopo 10 anni di attesa. Ciò che non era riuscito a fare Bush, inchiodare l’ideatore dell’11 settembre al (sotto)suolo, riesce ad Obama. Un risultato indispensabile per poter chiudere la guerra in Afghanistan: Obama ha fissato il ritiro delle truppe entro il 2014, serviva quindi un risultato concreto per giustificare la “fuga” dal pantano afgano. Su questo aspetto si specula molto: c’è chi ironizzando chiede il certificato di morte di Bin Laden, chi più scetticamente si domanda perché seppellire in mare il cadavere, senza fornire prove.
Ma il nodo è un altro: cosa succederà ora. E’ lo stesso presidente a chiarire, con tono asciutto e grave, che non è finita. Al Qaeda esiste ancora, e “dobbiamo e vogliamo continuare a vigilare”. Ha ragione.
Il terrorismo non è una guerra convenzionale. “Tagliare la testa del serpente”, frase preferita da Bush all’epoca dell’intervento in Afghanistan, non ha alcuna utilità. Primo, perché il serpente in questione non ha testa. Secondo, perché le motivazioni ideologiche a cui si rifanno i terroristi (e che hanno ancora presa) non sono risolte, né placate. Terzo, perché lo scenario è cambiato, e Al Qaeda ha un ruolo marginale nel nuovo scacchiere globale. Un pugno di vespe impazzite, ma senza lo sciame dietro.
Osama Bin Laden rivendicò l’attacco alle Twin Towers dal punto di vista ideologico (“se incitare la gente a portare la guerra nel cuore del nemico è terrorismo, se uccidere chi uccide i nostri figli è terrorismo, allora lasciate che la storia ci ricordi come terroristi”). Da qui in poi lo sceicco venne considerato come leader supremo e indiscusso di tutte le reti anti-occidentali del pianeta: quando nel 2002 la rete Jemaah Islamiya uccise 202 persone in Indonesia, si disse che era lui il mandante. E altrettanto è stato fatto l’anno scorso, quando in Yemen un capo tribale uccise 23 musulmani durante una processione religiosa.
Scaricare su Osama bin Laden gli orrori e gli onori di tali azioni è stato rassicurante per l’Occidente, ma fuorviante. I “bracci destri” dello sceicco, localizzati o uccisi nel corso degli anni, lo fanno sembrare un polipo: Ayman al-Zawahiri, Ndjuma Namangani, Muhamed Bin Erfane, Abu Maseer al Masri. L’ultimo, Abu Hafs al-Najdi, sarebbe stato abbattuto in un raid aereo il 13 aprile 2011 . Tutti loro avrebbero agito, secondo i nostri media, da sottoposti di Bin Laden: in realtà, operavano indipendentemente e con interessi diversi, a seconda della provenienza e dei paesi a cui erano legati.
Al Qaida ha sempre agito in modo schizofrenico. Una vasta e non meglio specificata strategia del terrore è stata l’unica colla che ha tenuto insieme lo sceicco saudita con gli sciiti iracheni, con i capi tribali yemeniti e i taliban afghani (e forse la strizzatina d’occhio dell’Iran). I colpi veramente pianificati sono pochi, si contano (tristemente) sulle dita di una mano: nel 2001 New York, poi nel 2004 Madrid e Londra nel 2005. La dispersione territoriale e “politica” degli altri attentati fa pensare a cellule separate, indipendenti, tutt’altro che unite in un “esercito di liberazione globale”, come tante volte si sono autodefiniti i terroristi.
Gli attacchi di Al Qaida sono diminuiti sistematicamente dal 2007 in poi. Dopo il periodo di sangue 2004-2005, quando riuscì a colpire le capitali europee e a minacciare seriamente gli Usa in Iraq, Al Qaeda ha registrato sempre meno successi. Nel 2009 la beffa di Umar Faruk Abdulmutallab, il nigeriano che tenta di far saltare l’aereo con dell’esplosivo nascosto nei pantaloni, ricavandone solo un’ustione imbarazzante. Dopo di allora, il silenzio.
Non dipende soltanto dai militari Nato o dalla security perfetta dell’America (Obama ha dovuto ammettere le falle nel sistema di sicurezza non più tardi del dicembre 2009). E’ cambiato lo scenario, il conflitto ha un’altra dimensione. Quella delle rivoluzioni interne.
Il Medio Oriente sta affrontando ed abbattendo i regimi simbolo del controllo occidentale, scaricando su di loro la rabbia che Al Qaida indirizzava verso il “grande satana” americano. Come può esserci spazio per progetti globali tanto ambiziosi, se ai giovani egiziani o tunisini o libici è offerta la possibilità di combattere quella tirannia nel proprio paese, per un futuro effettivamente realizzabile (e a volte anche senza armi)?
Al Qaeda resta pericolosa perché non ha controllo, non ha limiti territoriali, non ha regole d’ingaggio. Ma è sola. Dall’Iran alla Palestina, dal Magreb alla Siria, la lotta ha assunto un’altra forma e altre direzioni. Che con il terrorismo hanno poco a che fare.
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Un errore all’inizio: la morte di Hitler non ha permesso la fine della Seconda Guerra Mondiale, è terminata nell’agosto ’45 dopo la resa giapponese voluta dall’Imperatore.
Vero è che la notizia della morte di Bin Laden serve per dare un colpo di fiducia verso gli USA e il loro operato nel mondo, e non servirà a terminare gli attentati.
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